Pubblicato il 11/05/2021
Questa volta i motori della musica dal vivo sono avviati e la riapertura di teatri e sale da concerti è una realtà. Il jazz italiano ha già messo in campo tutta la sua energia e la voglia di emozionare ed emozionarsi. Dopo mesi di incertezze i palchi riprenderanno a risuonare di note. Come? Con quali nuove consapevolezze? Lo abbiamo chiesto a quattro direttori artistici di festival soci di I-Jazz iniziando così un viaggio all’insegna della (vera) ripartenza.
Prima tappa del nostro viaggio è in Friuli, dove troviamo Paola Martini, presidente del Circolo Controtempo, al lavoro sull’edizione 2021 dei festival: “Grazie alla riapertura dei teatri abbiamo potuto riprogrammare la rassegna Il Volo del Jazz a Sacile (PN), sospesa lo scorso novembre, che prenderà il via il 15 maggio e, onestamente, non vediamo l’ora! Saranno cinque concerti che termineranno a metà giugno e subito dopo ci sposteremo a Trieste al Museo Revoltella per tre serate con Le Nuove Rotte del Jazz, in collaborazione con il Conservatorio Tartini di Trieste. Seguirà poi Musiche dal Mondo in agosto tra Gorizia e Nova Gorica, rassegna trasfrontaliera che si sviluppa a cavallo delle due città. Devo ammettere che in questi tempi sarebbe stato più semplice decidere di sospendere il festival, ma così come l’anno scorso, siamo molto determinati e crediamo sia importante che ci sia, anche come messaggio per il pubblico. Inoltre è ufficiale che Gorizia e Nova Gorica saranno capitale europea della cultura nel 2025 e noi vogliamo accompagnare questo percorso a ritmo di jazz!”
E’ stato un anno difficile per il comparto della musica dal vivo: cosa ti lasci alle spalle senza rimpianti e quale cambiamento consideri importante per il futuro del festival?
Sicuramente ci lasciamo alle spalle le difficoltà e il dispiacere di dover annullare dei concerti, non solo per il pubblico o noi organizzatori, ma soprattutto per gli artisti e le maestranze, che hanno pagato, e stanno pagando tuttora, un prezzo altissimo. Non rimpiangerò le mascherine e il distanziamento perché, per quanto i sorrisi si leggano anche dagli occhi, un abbraccio e un volto che sorride sono impagabili. Abbiamo dovuto abbandonare piccolo rituali, come le degustazioni a fine concerto del Jazz & Wine of Peace, ma abbiamo scoperto con gioia che l’anima del festival non ne è stata intaccata. Una novità importante che invece abbiamo introdotto e che manterremo, è la riduzione del materiale cartaceo. Tutto il materiale dei concerti sarà consultabile online inquadrando semplicemente i QR code che si trovavano sui manifesti, sulle locandine e nelle sedi dei concerti. Abbiamo visto che il pubblico ha accolto la novità con entusiasmo e quindi continueremo a percorrere questa strada, fondamentale per l’ambiente e per la sostenibilità.
Senti che è cambiato qualcosa nel tuo rapporto con il pubblico? E con gli artisti?
Sicuramente come ogni sfida anche questo momento difficile ci ha offerto spunti di riflessione e ci ha dato modo di approfondire diversi aspetti del nostro lavoro, a partire dal rapporto con il pubblico. È stato molto emozionante vedere come tutte le nostre scelte siano state condivise, tutte le regole rispettate e come stiamo vedendo in questi giorni l’entusiasmo per il ritorno dei concerti dal vivo è stato palpabile. Una notizia che ci ha riempito di gioia è stato vedere che in seguito al rinvio a data da destinarsi dei concerti del Volo del Jazz di novembre e dicembre circa il 90% del pubblico ci ha dato fiducia decidendo di attendere la riprogrammazione e non ha chiesto il rimborso dei biglietti. Anche gli inevitabili cambi in cartellone sono stati accolti con estrema fiducia. Il momento ci ha anche costretto a ripensare alla programmazione dei nostri festival e siamo giunti alla conclusione di previlegiare gli artisti italiani e i giovani talenti. Una scelta oserei dire etica. Non possiamo dimenticare che noi ci occupiamo del “contorno”, la vera maglia la fanno loro, i nostri artisti!
Quale consideri il “tema chiave” del futuro del jazz italiano?
Credo che l’approccio a diversi aspetti vada cambiato: bisogna prestare più attenzione alla scena italiana e soprattutto alle nuove generazioni e ai talenti emergenti. Non si tratta di campanilismo, ma di valorizzare le proprie risorse, che sono di altissimo livello e meritano tutta la visibilità possibile. Penso anche che dovremo puntare alla sostenibilità dei festival e alla salvaguardia dell’ambiente, ce lo chiedono anche le nuove generazioni con grande insistenza ed è una strada che credo sia doveroso percorrere. Il tema chiave non può che essere la ripartenza, ma una ripartenza cosciente, che tutela sia l’arte che l’ambiente.
Dal Friuli alla Puglia, il viaggio prosegue con Raffaele Casarano, direttore artistico del Locomotive Jazz Festival e sassofonista di grande talento, a cui abbiamo chiesto se il conto alla rovescia è iniziato.“Ormai direi che ci siamo quasi. Abbiamo approfittato di tutto questo tempo sospeso per studiare bene la ripartenza e non poteva che rappresentare per noi una ripartenza speciale, cioè ritornare nel luogo dove tutto è cominciato nel lontano 2006: il mio paese natale che ha anche partorito il Locomotive, Sogliano Cavour in provincia di Lecce per poi proseguire nel parco archeologico di Roca Vecchia, a Melendugno sempre in provincia di Lecce, dove avverrà anche l’Alba Locomotive 2021. E’ una sorta di riscoperta che abbinata al nostro tema 2021 ‘Archelogie’ rappresenta per noi esattamente tutto ciò che contiene il termine ripartenza, guardando in avanti con i migliori auspici e aspettative migliori per ognuno”. A proposito di cambiamento e futuro aggiunge: “C’è stata una movimentazione molto importante in termini di ‘cambiamento’. Intanto la nostra associazione si sta per modificare in una nuova identità giuridica, proprio per allinearsi al RUNTS. E poi un’importante riconversione in direzione di sostenibilità ambientale grazie all’affiancamento nazionale del progetto Jazz Takes The Green. Il Locomotive quest’ anno non utilizzerà carta stampata per la promozione del festival, come anche altre iniziative che saranno all’interno del programma rispettando tutti i principi a tutela dell’ambiente”.
Come direttore artistico senti che è cambiato qualcosa nel tuo rapporto con il pubblico?
“L’unica cosa che sento davvero è la mancanza! Per il resto non credo sia cambiato nulla, se non il senso di vuoto che tutti noi stiamo vivendo”.
E per il futuro del jazz italiano quale parola scegli?
“Per me il tema chiave per il futuro del jazz italiano è Accoglienza. Potrebbe apparire banale, ma è un termine che ultimamente viene utilizzato troppo spesso senza dargli il giusto peso e valore. Accogliere le culture diverse dalla nostra, mescolarle, sperimentare nuovi colori, nuovi suoni è la linfa vitale per aprire nuove strade. E non ultimo, racchiude il significato stesso di aprire le braccia e aiutare chi ha bisogno di noi. La Musica, l’Arte dovrebbe fare questo per me e per noi del Locomotive. Noi ci proveremo sempre nel nostro piccolo a perseguire tutte le strade e a mixarle. La crescita nasce dal confronto”.
E di progetti che uniscono musica e territorio all’insegna della sperimentazione se ne intende Nicola Fazzini, anche lui musicista e direttore artistico, anima di rassegne come Jazz Area Metropolitana. Pronti per ripartire? “In realtà da inizio pandemia non ci siamo mai fermati. L’unica accortezza (necessità) è stata quella di spostare la rassegna Jazz Area Metropolitana giunta alla sua quinta edizione, da inizio primavera al cuore dell’estate. Nel 2020 abbiamo realizzato una buona parte del programma previsto, nel 2021 contiamo di tornare a pieno regime recuperando, situazione sanitaria permettendo, anche gli artisti internazionali previsti lo scorso anno. Abbiamo comunque sentito la necessità di inserire nel programma delle attività culturali rivolte al sociale e di concerto con i cinque comuni ospitanti abbiamo individuato delle ‘azioni musicali’ per anziani, bambini, disoccupati, operatori sanitari, le categorie più penalizzate in questo momento difficile. Proporremo al pubblico della Riviera del Brenta nel veneziano quindi un programma che comprenderà, oltre ai musicisti internazionali e alle attività citate, artisti italiani giovani ed emergenti con un occhio di riguardo alle proposte artistiche di qualità del territorio”.
A proposito di rimpianti e opportunità Nicola ha le idee chiare: “Beh una crisi presenta sempre anche delle opportunità, ma sinceramente sono state tante e tali le restrizioni che il nostro settore ha subito, che fatico a individuare lati positivi. Sicuramente siamo stati obbligati a un’implementazione tecnologica; ad esempio fare il nostro lavoro organizzativo online e trasmettere in streaming i concerti. Nell’impossibilità di eventi dal vivo abbiamo inoltre realizzato alcune produzioni musicali e discografiche per prepararci alla ripartenza. Noi di nusica.org siamo infatti una realtà che si muove su diversi fronti per cui abbiamo spostato la nostra attenzione sui settori compatibili alla situazione sanitaria. Diversificare alle volte aiuta. ll futuro al momento mi sembra imperscrutabile, dovremo convivere ancora con una situazione di incertezza, che significa essere elastici e flessibili, ma in fondo non è proprio del jazz l’improvvisazione e quindi la capacità in tempo reale di adattarsi ai cambiamenti?”
Come direttore artistico senti che è cambiato qualcosa nel tuo rapporto con il pubblico?
Difficile dirlo. La scorsa estate il pubblico ci ha ripagati con attenzione e passione. C’era fame di eventi dal vivo e socialità. Credo che anche quest’anno sarà cosi. Ci sono studi che sostengono che ci sarà una parte della cittadinanza cauta e timorosa nel riprendere la vita sociale, ma sono sicuro che tante persone abbiano percepito e sofferto la mancanza di eventi culturali e che tanti abbiano rivalutato questi momenti di condivisione prima forse dati per scontati. Credo che gli artisti (e lo dico anche da sassofonista e compositore) abbiano sofferto più di altri questa condizione di isolamento. Chi è stato capace di non essere sopraffatto dall’ansia e dalla frustrazione forse ha approfittato del momento per studiare e comporre o per utilizzare le nuove tecnologie per comunicare o creare. Però complessivamente tutti abbiamo patito la mancanza del rapporto col pubblico e tra noi musicisti. Alla ripartenza credo sarà necessario fare una profonda riflessione sull’importanza da parte dei festival di sostenere e stimolare la produzione artistica di nuovi progetti.
E sul “tema chiave” del futuro del jazz italiano, cosa proponi?
“Credo che in questi anni molto di positivo sia accaduto sul piano del rapporto tra jazz e istituzioni. La nascita di molte associazioni di rappresentanza, la Federazione, i bandi ecc. sono tutte opportunità fino a poco tempo fa impensabili. Resta molto da fare sul piano della comunità e del sociale, lì dove il jazz – escluso un ristretto e ormai attempato nugolo di appassionati – non è percepito come un linguaggio e un’arte significativa e rappresentativa della cultura del nostro paese. L’arte può essere una forza critica propulsiva della società, capace di leggere il passato, interpretare il presente e anticipare il futuro. Per raggiungere questo obiettivo la scuola e il rapporto con le nuove generazioni è fondamentale. Paghiamo quilo scotto di decenni di miopia e arretratezza sul ruolo della musica nella formazione culturale, sociale e del soddisfacimento dei bisogni affettivi ed emotivi degli individui. Questo significa anche una riflessione sul jazz che produciamo, sul rapporto con le sue radici afroamericane, il suo sviluppo europeo e la valorizzazione dei nuovi linguaggi e della ricerca artistica. Insomma le parole chiave saranno per me “scuola e innovazione”.
Grande voglia di ripartenza si respira anche nelle parole di Matteo Gabutti, direttore artistico del festival lombardo You must believe in Spring. “Ci eravamo illusi che questa primavera si potesse ripartire pur con tutte le precauzioni del caso” ci confessa Matteo, “come molti degli organizzatori di festival abbiamo trascorso l’inverno progettando (e sognando) la ripartenza primaverile, ma a mano a mano che il tempo passava siamo stati costretti a depennare un evento dopo l’altro e ricostruire un cartellone che si proietta verso la stagione estiva. La nostra rassegna si chiama You Must Believe in Spring è quindi nostro dovere crederci. Si comincerà con una collaborazione tra festival: con Novara Jazz e Ground Music Festival condivideremo un progetto itinerante che raccoglie un’orchestra di dodici improvvisatori tra i più rappresentativi del panorama europeo radunati dal trombettista Gabriele Mitelli. L’orchestra che porta l’emblematico nome di European Galactic Orchestra inizierà il suo tour a Novara per poi approdare a Mantova, presso Palazzo Te, dal 14 al 16 giugno. Il 22 luglio avremo il concerto del trio di Bill Frisell in una struttura creata dal Comune di Mantova in riva al lago denominata Arena Bike raggiungibile, appunto, in bicicletta, ma anche dotata di un ampio parcheggio. In agosto continueremo, come lo scorso anno, a proporre musicisti di “Nuova Generazione Jazz”, in particolare Archipelagos, ottimo progetto di Francesca Remigi”.
Cosa ti ha lasciato questo anno?
“Per i musicisti e per le persone che dipendono economicamente dal comparto della cultura, la pandemia non ha fatto altro che aggravare una situazione già di per sé difficile. L’emergenza sanitaria e il conseguente confinamento con tutte le sue limitazioni hanno rivelato la frammentazione del mondo musicale che si è trovato completamente disarmato e senza difese di fronte alla perdita improvvisa di sostegno, si può proprio dire che è venuto a mancare il palco sotto ai piedi. Questo però ha costretto le categorie del mondo dello spettacolo a ritrovare una coralità per quel che riguarda le richieste di sostegno. La strada per godere di diritti legittimi deve passare in primo luogo attraverso il riconoscimento dell’essere parte integrante e indispensabile per il benessere della nostra società. Per quello che mi riguarda questo anno è stato un momento utile per osservare meglio quanto avviene nel mondo del jazz, fare nuove scoperte, immaginare nuovi percorsi e consolidare relazioni con il territorio. Il lavoro in streaming dei musicisti è servito per far conoscere la propria musica e lavorare a nuovi progetti, ma è arrivato il momento di mettere a frutto tutto questo materiale affinché non vada disperso e si fissi nella memoria e nella vita del pubblico con concerti dal vivo. Come organizzatori abbiamo l’obbligo di formare un nuovo pubblico, di stimolare progetti di ricerca e di far conoscere quanto più possibile quello che avviene in questo mondo in continua e rapida trasformazione. Dobbiamo creare lo spazio nel quale educare all’ascolto ricreare il silenzio nel quale iniziare a far confluire i suoni”.
Come è cambiato il tuo rapporto con il pubblico? E con gli artisti?
“Come organizzatore confesso che mi manca tutto, il pubblico, i musicisti. Quando hai i musicisti davanti a te è come vedere dal vivo un quadro che hai sempre ammirato solo in fotografia, lo stupore che suscita la musica è incredibile. La scorsa estate mentre presentavo il primo concerto della rassegna mi sono commosso, vedere il pubblico in attesa, respirare quell’atmosfera di sospensione prima della musica è stato un momento molto intenso. Dobbiamo riflettere su quanto abbiamo perso in questo lungo periodo e quanto potremmo perdere senza queste emozioni”. Su cosa dovrebbe puntare in futuro il jazz italiano? “Sulle nuove generazioni. Ci sono tante musiciste e tanti musicisti di talento che provengono da percorsi musicali diversi e hanno completato la loro formazione all’estero, portando nuova linfa al jazz italiano. È il momento di sostenere questa generazione. La parola chiave è contaminazione, occorre immaginare un progetto di apertura verso l’esterno. E’ difficile pensare di esportare il jazz italiano se prima non s’immerge nel mondo musicale che lo circonda. Per molti aspetti i modelli restano quello newyorkese e quello londinese, soprattutto per la capacità di inclusione di culture diverse che queste città rappresentano. L’evoluzione del jazz passa attraverso l’apertura verso il mondo e la creazione di poli di aggregazione culturale. L’Italia subisce il ritardo di una immigrazione piuttosto recente e deve ancora assimilare l’influenza di altre culture dando loro prima di tutto spazio per esprimersi e mostrare nuove prospettive.
Il primo viaggio all’insegna della (vera) ripartenza termina qui, ma… STAY TUNED!