Pubblicato il 08/01/2018
Pisa Jazz è uno dei punti di riferimento in Toscana per gli amanti di un certo tipo di jazz contemporaneo, libero, sperimentale. Cerchiamo di conoscere meglio questa realtà parlando con Francesco Mariotti, il direttore artistico.
Quali sono gli obiettivi che porti avanti quando strutturi la programmazione della stagione?
“Sicuramente uno degli obiettivi principali è quello di mettere in contatto gli artisti che ospitiamo con il loro pubblico reale e potenziale, cercando di fare scelte non scontate e che restituiscano la bellezza e la complessità di questo sconfinato e multiforme mondo musicale. Cerco sempre di mantenere un equilibrio tra alcune inevitabili dicotomie: tradizione e contemporaneità, suoni di ricerca e attitudine popolare, grandi nomi e talenti ancora sconosciuti, ospiti internazionali e promozione del territorio. E’ come se ci fosse sempre una domanda sottesa a tutto il mio lavoro, una domanda essenziale sull’identità di questo genere musicale; una risposta esaustiva è impossibile ovviamente, ma tendere alla visione d’insieme mi aiuta spesso nelle scelte. C’è da dire che la programmazione è una parte molto delicata di questo lavoro, a cui sicuramente vorrei poter dedicare più tempo. Ma chi come me gestisce realtà piccole, deve dividere il proprio impegno tra molte mansioni diverse”.
Il 10 gennaio avete ospitato il trio di Julian Lage, una vera novità per il pubblico italiano: quali risposte avete avuto in termini di pubblico?
“Lage è stato una folgorazione al primo ascolto. E credo che questo effetto lo abbia fatto a molti. Il concerto era già sold out giorni prima, anche se non era per niente scontato. E’ stata una serata entusiasmante e partecipata”.
La risposta del pubblico e l’andamento degli spettacoli dal vivo: hai notato dei cambiamenti negli ultimi anni?
“Tutto e il contrario di tutto. Ho assistito a debacle inaspettate e a improbabili sold out. E’ difficile a volte cogliere lo Zeitgeist di questo lustro, il mondo si muove molto velocemente e la musica e il pubblico ne sono lo specchio. Una cosa però l’ho capita; bisogna avere fiducia nei giovani, sempre. Ascoltarli e farsi ascoltare, lavorare con loro. Sono curiosi e aperti alle novità, anche quando la novità ha più di un secolo. Sopratutto i giovanissimi, che sono il pubblico e gli artisti di domani, non ce lo scordiamo”.
Pisa Jazz produce anche dei gruppi importanti, in termini di qualità e numeri: cosa significa per te questa parte del lavoro?
“Sicuramente una parte fondamentale, una delle più importanti e delle più divertenti. Tra gli obiettivi che mi sono prefisso fin dall’inizio c’è sempre stato quello della cura del rapporto con il territorio; diventare un punto di riferimento per i musicisti locali, offrire una casa dove poter sperimentare e produrre la propria idea. Fare come si dice da “antenna culturale”, lavorando a fianco dei musicisti, non solo recependo in modo passivo i loro bisogni, ma stimolando anche la nascita e la crescita di progetti nuovi. Mi piace far incontrare tra loro le persone quando presumo che abbiano qualcosa da dirsi.
L’ultima produzione originale è nata da una piccola residenza artistica, un ensemble di dieci elementi guidati dal sassofonista livornese Beppe Scardino; ha dato luogo a un concerto e a una registrazione che tra non molto diventerà un disco. A livello discografico negli anni passati abbiamo prodotto il primo disco di Paolo Benedettini, abbiamo contribuito a fondare il Nico Gori Swing 10tet, con cui continuiamo a collaborare assiduamente, e di cui abbiamo prodotto il primo e stiamo coproducendo il secondo disco; anche l’ultimo disco dei Dinamitri Jazz Folklore è nato da una coproduzione, questa volta con Caligola Records. Ma anche progetti non discografici come le orchestre/laboratorio “Wide Orchestra” e “Fonterossa Open Orchestra”, sono stati un modo importante di ‘produrre il territorio'”.
Un tuo pensiero sul jazz italiano: quale direzione sta prendendo?
“Se parliamo di musica, non mi sento di fare considerazioni di carattere generale. Non vedo particolari tendenze, se non forse un po’ un ritorno all’Africa in un certo senso, ma probabilmente sono influenzato dai miei ascolti, sicuramente molto parziali. Se parliamo invece della situazione “politico/economica” del jazz in Italia, ti posso dire che negli ultimi anni, pur considerando il panorama di forte crisi di tutto il settore culturale, qualche timido segnale positivo c’è stato. Il bando Franceschini, i nuovi bandi SIAE, il riconoscimento istituzionale di associazioni di categoria come I-Jazz e MIDJ. Certo la strada è ancora lunga, ma la direzione intrapresa mi sembra buona almeno nelle intenzioni”.
Per il programma Pisa Jazz vai al link