Pubblicato il 04/04/2016
“Storie di jazz. Guida sentimentale alla vita e alla musica di cinquanta (e più) maestri” è un libro pubblicato da Arcana e scritto da Enrico Bettinello. Un appassionante viaggio attraverso la vita e la musica di decine di jazzisti famosi e meno famosi, attraverso i decenni e gli stili, che racconta le vite di artisti che hanno contribuito a costruire un secolo di grandi e piccole meraviglie sonore. Per saperne di più abbiamo incontrato lo scrittore e giornalista veneziano, attualmente impegnato nel tour di presentazione del libro.
IJ: “Storie di jazz” nasce come rubrica mensile per la rivista BlowUp. Le storie delle vite dei jazzisti sono per la maggior parte legate da una vena romanzesca: il jazz quanto ha influenzato la loro vita e quanto le vicende vissute influenzano l’arrangiamento di un brano?
EB: Essendo tutti, anche quelli magari meno conosciuti, dei “giganti” del jazz, i musicisti che ho ritratto in questo libro sono inevitabilmente artisti le cui vicende personali e artistiche sono unite indissolubilmente. Ciascuna “storia” doveva occupare esattamente due pagine della rivista (che sul libro sono diventate poco più di quattro) e questo mi ha spinto a condensare quanto più potevo un grande numero d’informazioni biografiche e narrative e di stimoli all’ascolto. Nel fare questo ho evitato di indulgere troppo in mitologie romantiche legate alle singole vicende, spesso tragiche e certo affascinanti, di molti protagonisti, preferendo piuttosto provare a inserire quelle vicende in un contesto storico, sociale e culturale di più ampio respiro e spero anche più interessante.
IJ: Qual è stato l’obiettivo che volevi raggiungere quando hai scritto le biografie poi raccolte nel libro?
EB: La rubrica nasceva con l’intento di raccontare ai lettori di BlowUp, che sono sempre stati ascoltatori curiosissimi e onnivori, la storia di musicisti jazz più “classici” (si va infatti da King Oliver a Sonny Rollins, da Louis Armstrong a Joe Henderson), per stimolare uno sguardo storicamente più profondo da utilizzare anche quando si ascoltano le pagine più evolute del jazz di oggi.
IJ: Il sottotitolo del libro è “Guida sentimentale alla vita e alla musica di cinquanta (e più) maestri.” Come mai una guida sentimentale?
La risposta a questa domanda prosegue un po’ quella della domanda precedente. Una volta raccolte, mi sono accorto che queste cinquanta e più storie (che sono nate senza un disegno strutturale preciso, un po’ con un piglio da flâneur) avevano la forma di una gioiosa educazione sentimentale al jazz, che alla fine non è mai sistematica, ma vive di innamoramenti, sbandate, collegamenti, frenesie di conoscenza e ascolti. Un sentiero emozionale e culturale che cresce con chi ha voglia di percorrerlo.
IJ: Ogni storia presentata nel libro racconta delle vicende e suggerisce tanta musica, anche se sceglierne una sarà sicuramente difficile, ne selezioni una per noi?
Le storie sono come figlie, se ne scegli una rischi di fare torto alle altre. Mi limito a segnalare che accanto ai nomi più conosciuti, Duke Ellington, Max Roach, Lester Young, Bill Evans, amo molto le storie di personaggi apparentemente “minori”, ma artisticamente e narrativamente affascinanti come Hampton Hawes, Gigi Gryce, Kenny Dorham, Booker Little, Herbie Nichols o Rahsaan Roland Kirk, solo per citarne alcuni.
Ma tengo molto anche ai tre saggi lunghi che ho inserito come interludi, dedicati a pilastri come Eric Dolphy, Andrew Hill e Charle Mingus.
IJ: L’approccio del pubblico nei confronti del jazz oggi è cambiato? E cosa puoi dirci sul tipo d’informazione che affianca questo genere musicale?
EB: Oggi gli approcci alle musiche (e a quelle che siamo soliti rubricare sotto il nome di jazz) sono sempre più vari e personali e spaziano da una gioiosa superficialità alla più pedante conoscenza enciclopedica. L’informazione, parlando dell’Italia, è sviluppata e a volte anche di qualità, anche se soffre un po’ delle stesse “malattie” di tutto il settore, vale a dire una ormai cronica difficoltà nel mettersi in discussione e nel cercare di raggiungere nuove comunità di lettori/ascoltatori, se non con “trucchetti” dal respiro molto corto. L’informazione potrà certo migliorare e mettersi in gioco in modo più efficace se anche gli altri elementi di questo mondo (i musicisti, i direttori artistici, gli operatori) avranno voglia di spostarsi da posizioni ormai prevedibili.
IJ: Tra meno di un mese il 30 aprile sarà la Giornata Internazionale Unesco del Jazz, evento che celebra il jazz come strumento di sviluppo e crescita del dialogo interculturale. Questo genere musicale può, secondo te, essere un esempio da seguire per migliorare e cambiare il modo di pensare e di agire con se stessi e con gli altri?
EB: Io non ho dubbi che il jazz (con le sue storie, le sue pratiche e il portato emozionale delle sue musiche) possa costituire uno straordinario strumento di comprensione umana e interculturale di molte dinamiche identitarie che sono al centro, anche dolorosamente, della nostra attenzione oggi. Una musica come il jazz, nella quale l’ascolto reciproco, la ricerca di convivenza tra voce individuale e risultato collettivo, la capacità di ridefinire ogni istante la propria posizione sono centrali, non può non fornire le chiavi di lettura giuste per aprirsi, senza paure, alla nostra civiltà globalizzata.
A questo punto non resta che prendere nota delle prossime presentazioni di “Storie di jazz”: sabato 9 aprile a Milano presso la Libreria verso libri (con Marcello Lorrai e Paolo Botti); sabato 16 aprile a Bologna Libreria modo infoshop (con Leo Izzo e Cristiano Arcelli); sabato 23 aprile a Torino Jazz Festival presso il Circolo dei lettori (con Stefano Zenni); sabato 30 aprile a Palmanova (Ud).