Pubblicato il 05/06/2018
Sile Jazz torna in Veneto per la settima edizione, da giovedì 14 giugno a sabato 28 luglio e coinvolge ben 12 comuni bagnati dal fiume Sile, tra ville storiche, parchi, giardini, piazze e perfino attraverso il fiume stesso, con un concerto live a bordo di un battello in movimento. Il fil rouge dell’attuale edizione è l’incontro: tra le persone, che ascoltano insieme; tra i luoghi pieni di storia che ogni volta diventano diversi da se stessi; ma anche tra gli artisti che rappresentano una realtà simbolica e insolita; etra i suoni che ad ogni concerto trasmettono conoscenza e curiosità.
Ospiti di Sile Jazz sono artisti di tutto il mondo e giovani talenti, protagonisti di un programma ricco di importanti appuntamenti: dall’omaggio alla black revolution di Ada Montellanico ai Griots di Roberto Ottaviano; dal fascino ethno jazz del duo di Krzysztof Kobilinsky e Daniele Di Bonaventura agli umori ispanici di Flamencontamina; fino alle suggestioni sull’acqua del giovane e coraggioso ensemble Sidewalk Cat Quintet, che accompagna la crociera. Ogni serata, per varietà, scelte musicali e location, non potrà che essere un felicissimo incontro cullato dalla dolcezza del fiume Sile sullo sfondo.
A parlarne con noi Alessandro Fedrigo, musicista e direttore artistico della rassegna.
“Incontri” è il filo conduttore della settima edizione di Sile Jazz ma anche (credo) il senso delle nostre vite. Quali sono gli incontri che hanno cambiato le vostre? Se ce ne sono stati.
“Credo che gli incontri siano il punto fondamentale nella nostra vita e la musica forse può essere una metafora perfetta in questo senso. I musicisti si incontrano su un palco e incontrano un pubblico, se l’incontro ‘riuscirà’ la musica avrà qualcosa di magico. Ed è quello che tutti ci auguriamo. Sile Jazz nasce con l’intento di far incontrare il pubblico di questi territori con il jazz contemporaneo e con musicisti che sperimentano con le loro composizioni e improvvisazioni. Personalmente, ho ricevuto tanto dall’incontro con tutti i miei Maestri; sono loro ad avermi provocato, cambiato, e fatto riflettere. E quando parlo di Maestri, intendo non solo quelli che sono stati dei compagni di percorso musicale”.
Come avete pensato e costruito il programma di quest’anno?
“Quest’anno il focus è un po’ questo: cosa accade se il jazz incontra il flamenco? Oppure l’elettronica? Oppure se un meraviglioso strumentista di bandoneon (italiano) incontra un formidabile pianista polacco? Incontreremo musicisti di paesi lontani, avremo un progetto di musicisti che si incontrano per la prima volta (il quartetto di Robarto Ottaviano), e poi molti giovani: Tommaso Troncon con il suo quartetto per metà berlinese; Rosa Brunello, giovane compositrice e bassista che mescola rock, jazz, dub; Francesco Giustini, che al Conservatorio di Rovigo incontra dei bravissimi musicisti e forma il sestetto Bonora; il quartetto mezzo toscano e mezzo trentino di Gianmarco Scaglia che nasce in quel punto di incontro che è il Valdarno Jazz Collective; il duo di Nico Soffiato (padovano) che a Brooklyn trova il partner perfetto per la sua musica intima e sognante; Ada Montellanico che da “pasionaria” del jazz si fa ispirare da quella straordinaria maestra di impegno e musica che è Abbey Lincoln… insomma 15 incontri sotto forma di concerto”.
Alessandro, da quest’anno sei anche un membro del direttivo di MIdJ: quale pensi sia il vantaggio di fare rete, sia tra voi musicisti che con le altre associazioni presenti?
“Credo fermamente nella necessità di fare rete, la nostra rassegna nasce da una rete di 12 Comuni collegati dal fiume Sile. E parlando di MIDJ penso che possa essere uno strumento per collegare i musicisti, per affrontare alcune questioni legate alla nostra attività. E’ un momento di grande fervore e spero che questa energia ci porti lontano, il neoeletto direttivo ha tanti progetti da realizzare, non ci resta che rimboccarci le maniche. Aggiungo che ripongo molta speranza anche nella neonata Federazione del Jazz Italiano, presieduta da Paolo Fresu, solo collegando gli interessi di molti possiamo possiamo farli valere, o quanomeno sperare di farlo”.
Come vedi la situazione del jazz in Italia?
“Penso che sia il momento per i musicisti italiani di apririsi e confrontarsi con l’estero, con l’Europa in primis. Abbiamo molto da imparare dai nostri vicini, realtà in cui il jazz è maggiormete compreso come forma d’arte, il pubblico è più attento e consapevole, e dove esistono molte forme di sostegno allo sviluppo e promozione dei progetti artistici. C’è molto da imparare, ma al jazz italiano non manca assolutamente nulla per affermarsi fuori dall’Italia”.