Pubblicato il 03/12/2019
E’ uno dei volti giovani più noti del jazz italiano, Francesco Diodati, un artista raffinato e dalle idee sempre limpide e chiare, un chitarrista profondo e sensibile, sempre attento alla ricerca e alle nuove sonorità. Ha partecipato, con il suo quintetto Yellow Squeeds, alla prima edizione del progetto Nuova Generazione Jazz (nel 2018), organizzato dall’associazione I-Jazz con il supporto e il sostegno del Mibact, e a distanza di un anno da questa esperienza lo abbiamo raggiunto per parlarne con lui e farci raccontare dei suoi nuovi progetti e del futuro che lo aspetta.
Francesco, è passato quasi un anno dalla pubblicazione di “Never the same” (pubblicato per Auand), il tuo secondo disco con Yellow Squeeds: cosa è cambiato in questo anno?
“Tutto. Il modo in cui suoniamo gli stessi brani, il nostro modo di interagire. Siamo in continua evoluzione e il più bel complimento che abbiamo ricevuto da persone che ci hanno visto a distanza di pochi mesi è che sembrava un altro concerto….e il repertorio era praticamente lo stesso!”.
Quali sono i progetti per il 2020?
“Molti. Intanto proseguirà il tour della Special Edition di Enrico Rava, con il quale nel 2019 abbiamo percorso in lungo e in largo l’Europa e oltre. Siamo appena tornati dall’Argentina, un’esperienza indimenticabile. Sto poi scrivendo per un gruppo di 11 persone, nato in seno a un workshop organizzato da MIdJ presso la Sala Vannni di Firenze nel mese di aprile. Una follia di questi tempi, ma il tempo ci saprà dire.
Sto anche completando i brani per il primo disco del trio con Leila Martial e Stefano Tamborrino che registreremo a inizio anno. Porterò ancora in giro gli Yellow Squeeds, per i quali voglio scrivere nuova musica. Suoneremo in anteprima e registreremo il nuovo disco del MAT, trio che condivido da dodici anni con Marcello Allulli ed Ermanno Baron.
Registrerò anche con il gruppo Auanders, formato da alcuni musicisti che incidono per la Auand di Marco Valente. Inoltre, ho un nuovo progetto con Francesco Bigoni, del quale non posso dire molto, ma spero di darne presto notizie. Infine, registerò due nuovi dischi con Ada Montellanico e Matteo Bortone, due musicisti con i quali collaboro da tempo”.
Dal quartetto al progetto Special Edition che festeggia gli 80 anni di Enrico Rava: cosa significa per te questa collaborazione e la scelta fatta da Rava stesso?
“Un rilancio, che è tipico dell’irrefrenabile e incontenibile musicista quale è Enrico. Sono onorato che Enrico mi abbia voluto in questo nuovo progetto e dopo qualche concerto abbiamo trovato tutti un’intesa splendida, mantenendo il gusto per l’imprevedibilità che contraddistingue la sua musica”.
Nel 2018 con Yellow Squeeds hai partecipato a Nuova Generazione Jazz, è stata la prima edizione del progetto: quali sono le tue impressioni? Quali sono stati i vantaggi?
“È stata un’esperienza importante, anche se non priva delle criticità tipiche di una “prima”. Abbiamo messo il naso fuori dai confini italiani per la prima volta grazie a Nuova Generazione Jazz e direi che è andata molto bene, già questo anno ho ottenuto un ingaggio al Belgrado Jazz Festival, proprio perchè ci avevano sentito e apprezzato durante la nostra esibizione a JazzMI. Sono uscite critiche molto positive, sia a seguito del London Jazz Festival, sia dopo la nostra esibizione al Bimhuis, per non parlare del JazzMi.
Detto ciò, abbiamo bisogno, come tutti i gruppi che ormai iniziano a essere conosciuti in Italia, di farci sentire di più dal vivo e nell’ambito di festival importanti, perchè è il modo migliore per catturare l’attenzione dei promoter, esteri e non. Per questo motivo una delle criticità di cui parlavo è che ci sarebbe bisogno di più occasioni; dopo i concerti organizzati nell’ambito del bando è stato più facile ottenere un ingaggio all’estero, per giunta in un festival importante come quello di Belgrado, piuttosto che in festival italiani, a parte poche realtà.
Mi auguro che i nostri sforzi nella musica e quelli di I-Jazz nell’organizzare Nuova Generazione Jazz si riverberino sulle scelte dei festival italiani, perché l’operazione dimostra che con un po’ di coraggio si può osare e mettere in cartellone in primo piano tanti gruppi e proposte italiane valide e interessanti che hanno un riscontro assolutamente positivo su pubblico e critica. Penso sia un nodo fondamentale per avvicinarci agli standard europei – penso al Jazz Migration in Francia ad esempio”.
Foto di Cristina Cervesato