Pubblicato il 16/10/2019
Selezionato per il programma 2019 di Nuova Generazione Jazz (progetto promosso da I-Jazz con il contributo del Mibact), il duo O-Janà è formato dalla cantante Ludovica Manzo e dalla musicista Alessandra Bossa. L’una proveniente dal jazz e dalla musica di ricerca, l’altra dalla musica classica e contemporanea, Ludovica e Alessandra combinano elettronica, improvvisazione e songwriting in una maniera del tutto originale, che ha consentito al duo di ottenere successi e consensi sia in Italia che a livello internazionale. La loro musica esplora i possibili percorsi che dalla forma chiusa conducono all’improvvisazione totale e viceversa, cercando di espandere i confini della melodia e della forma canzone attraverso l’elettronica e il cut-up sonoro. Pulsazioni che nascono dal gesto improvvisativo, giochi bizzari tra suono e parola, storie nascoste in paesaggi onirici, sono elementi delle loro composizioni originali e delle performance live.
Di ritorno da Budapest, dove hanno suonato per NGJ all’Opus Club lo scorso 4 ottobre, le abbiamo intervistate per scoprirle da vicino:
O-Janà racchiude perfettamente le vostre anime, artistiche, femminili, creative, tanto diverse ma anche complementari: come nasce questo duo?
L.: Ci siamo conosciute a Roma circa 10 anni fa, qualche mese prima che Alessandra si trasferisse in Svezia. Dopo un po’ di tempo, da lì, mi ha mandato alcune idee su cui io ho iniziato a lavorare. Ci siamo scambiate materiale e abbiamo composto le prime cose a distanza, fin quando ci siamo viste per suonare. Abbiamo improvvisato, composto e registrato il nostro primo ep all’Academy of Music and Drama di Göteborg. Da lì siamo andate avanti, incontrandoci di volta in volta in diverse città, lavorando sui nostri brani e tanto sull’improvvisazione.
Poetica, creatività, originalità: la vostra è una voce identificabile e ben riconoscibile – le conferme avute anche dai promoter europei lo dimostrano – che vi rende un esempio unico. Quali percorsi intraprendete nella creazione del vostro repertorio?
L.: Una gran parte del lavoro prende vita da processi empirici, qualsiasi idea compositiva passa al vaglio della pratica, che aggiunge elementi inaspettati che spesso poi diventano strutturali. Alcuni brani sono scritti su carta, ma più spesso nascono dalla pratica improvvisativa o da piccoli canovacci che elaboriamo attraverso lunghi processi di scambio di idee che vengono all’una o all’altra.
A: A volte i brani nascono da testi, qualche accordo o anche solo da alcuni suoni che ho processato ma che già delineano una finestra all’interno della quale improvvisare. Da lì si parte per sviluppare, tagliare, aggiungere e cercare suggestioni. Questa fase può essere molto breve e avere una sua spontaneità così come essere rimandata più volte. Complesso è trovare soluzioni nuove che soddisfino entrambe e che non siano scontate. Il mio modo di comporre poi è cambiato da quando l’utilizzo dell’elettronica è diventato sempre più strutturale e continua a evolversi rendendo il campo d’azione sempre più ricco di elementi a cui devo pensare. A volte è difficile trovare quell’equilibrio tra il pianoforte e l’elettronica che possa portare l’ascoltatore a pensare che quasi è uno strumento solo, devo dire che è anche la parte in cui più mi diverto. E’ come se nello stesso istante dovessi pensare a più strumenti, frequenze e timbriche differenti e iniziare da subito a missarle. E poi tutto deve essere innestato con il suono della voce di Ludovica che cambia molto a seconda degli effetti e dell’equalizzazione che decidiamo di usare. Insomma c’è tanto da strutturare, ma una volta finito ci concediamo la libertà di giocare come più ci piace
Quanto conta il concerto, il live, per la vostra fase creativa?
L.: Tanto. Lavorando con materiale elettronico e interessandoci, oltre che alla forma scritta, anche alla ricerca timbrica e alla condotta esecutiva, la parte grossa del lavoro è sulla materia sonora in sè. I momenti in cui suoniamo dal vivo sono fondamentali per la costruzione del suono generale. Cerchiamo di lasciare spazio a momenti estemporanei, benché pensati nella loro funzione all’interno del percorso, e da quelli spesso vengono fuori nuove idee. Il momento prezioso in cui certe energie possono davvero prendere forma è quello del live.
A: Il live è in assoluto il campo d’azione dal quale possiamo prendere spunto, capire e trovare nuove condotte. La parte esperienziale più diretta e dinamica. A volte tutto cambia a seconda dell’acustica della sala, del pubblico che ci troviamo di fronte o dell’amplificazione che abbiamo a disposizione e l’innesto del suono acustico con quello dell’elettronica non è sempre facile da ottenere.
Sono componenti che giocano un ruolo fondamentale e che ci portano a capire in che modo costruire e comporre, come tenere la tensione, come fondere le timbriche, come distribuire le energie e anche come muoverci sul palco. A volte, infatti, mi capita di trovare nuove strategie o nuovi pattern ritmici attraverso un movimento nuovo o una nuova gestualità che prevede l’utilizzo di tutto il corpo e dove posso suonare il piano, le corde del pianoforte, i miei controller e aggeggi sonori vari. Questa spinta nuova parte proprio dalla performance live, da quell’esatto momento in cui sei totalmente immerso nel qui e ora e sei lì per rivelarti agli altri.
O-Janà è stato selezionato per Nuova Generazione Jazz 2019, cosa pensate del programma organizzato e promosso dalla I-Jazz con il supporto del Mibact?
L.: Per noi è stata un’enorme opportunità. Grazie ai festival e alle venue che ci hanno volute e ospitate, abbiamo avuto la possibilità di portare la nostra musica in tanti paesi esteri come Canada, Portogallo, Ungheria, Inghilterra. È un progetto davvero importante per le band che propongono musiche originali, nell’ambito del jazz e delle musiche contemporanee. Il confronto continuo con ciò che succede nel presente, anche fuori dal nostro paese, è fondamentale per mantenere viva la creatività e l’attenzione a ciò che è l’oggi, senza rimanere impigliati in abitudini e tendenze. In Italia siamo all’inizio di questo percorso di espansione e spero ci si muoverà sempre di più per sostenere artisti di questa fetta di mondo musicale non ancora conosciuti. C’è molto da fare in questo senso, ma credo fortemente sia un ottimo inizio.
A: Non ho trovato per nulla scontato andare oltreoceano per suonare la nostra musica con un progetto supportato dall’Italia, soprattutto con tutti i paragoni che si fanno con gli altri paesi esteri. Questo tipo di supporti e di programmi e la loro riuscita dipendono fortemente dalle persone che ne fanno parte e che si interessano. Creare connessioni altre oltre quelle italiane porta a vedere le differenze, a muoversi diversamente a stare più in contatto con quello che succede fuori dal nostro paese.
Progetti per il futuro?
L. A. : Fare un nuovo disco e continuare il più possibile a girare il mondo con la musica che ci piace scrivere e suonare.