Pubblicato il 03/04/2023
Nuovo importante ingresso nel mondo della didattica musicale italiana, lo scorso 18 marzo scorso è nata l’Associazione nazionale scuole jazz e musiche audiotattili (ANSJ), un consorzio, con sede a Bergamo, che rappresenta più di 6.000 associati tra studenti, docenti, dirigenti scolastici e operatori della didattica musicale no profit del nostro Paese. Una realtà che intende “dare il via a un nuovo percorso culturale, basato sul dialogo per il ‘sistema’ della didattica musicale in Italia, con il concorso delle realtà del terzo settore e di quello pubblico”, come ha dichiarato il presidente Claudio Angeleri (rappresentante del CDpM Europe di Bergamo), che abbiamo raggiunto per saperne su obiettivi e programmi di ANSJ.
“Realtà del terzo settore e istituzioni pubbliche in dialogo per un nuovo modo di fare didattica”: da dove partire?
Partiamo innanzitutto ribadendo che si tratta di un movimento culturale che ha una tradizione di quasi mezzo secolo. La ricerca didattica e pedagogica in ambito musicale, infatti, nasce e si sviluppa in Italia negli anni Settanta, soprattutto grazie al prezioso contributo delle associazioni. Un settore che ha dato impulso all’insegnamento della musica nel mondo della scuola e ha accelerato l’introduzione del jazz nei Conservatori. La SIEM, la Società Italiana di Educazione Musicale di Carlo Delfrati, padre della didattica della musica in Italia, è del 1969; le prime scuole di musica si diffondono in Italia negli anni Settanta e Ottanta – Roma (Testaccio e Saint Louis), Milano (Musica Oggi), Siena, Bergamo (CDpM), Torino, Vicenza, per citarne alcune – inaugurando una stretta relazione con le istituzioni pubbliche e il mondo della scuola. Il punto di contatto è sempre stato la centralità della persona declinando i bisogni educativi, le cognitività messe in gioco e le metodologie didattiche. È questo il punto di partenza a cui si collegano poi le importanti tematiche occupazionali e il riconoscimento dei titoli di studio, e non viceversa.
La didattica musicale è costituita da un ‘sistema’ articolato che vede coinvolti diversi soggetti: scuole pubbliche, terzo settore, università, Conservatori. Le associazioni dialogano già da tempo con la scuola grazie alle possibilità offerte dall’autonomia e da iniziative virtuose come il Piano delle Arti del CNAPM del Ministero, le leggi sulla musica di alcune regioni all’avanguardia come l’Emilia-Romagna e la Toscana, e le convenzioni con le amministrazioni comunali. I numeri dell’associazionismo, del resto, sono di rilievo assoluto, come dice la recente indagine condotta dall’Università di Bologna per conto dell’AIdSM – Associazione Italiana delle Scuole di Musica: centomila docenti e un milione di studenti.
Le prime due azioni che, come presidente di ANSJ, vuoi mettere in campo?
ANSJ nasce con l’obiettivo di unire, dialogare, trovare o ri-trovare sinergie. Il nostro direttivo ha elaborato in questi mesi un manifesto progettuale che scandisce i diversi passaggi operativi dell’associazione. Tra la prime azioni sottolineo la volontà di aderire alle principali organizzazioni di rappresentanza come l’AIdSM, Unisca, Forum Nazionale dell’Educazione Musicale, Federazione Il jazz italiano; e intensificare il dialogo, comunque già in atto, con il Ministero dell’Università per quanto riguarda il riconoscimento dei titoli di studio secondo il sistema europeo EQF. Altrettanto importanti sono le semplificazioni degli aspetti fiscali e previdenziali che affaticano il lavoro del musicista di oggi inclusa la didattica. Un tema caro a MIDJ e Unisca.
Il rapporto tra mondo della scuola e l’offerta formativa musicale oggi in Italia: la maggiore criticità a tuo avviso? Gli obiettivi a cui tendere?
Le criticità derivano principalmente da una certa ‘disattenzione’ alle prospettive offerte dal sistema educativo a cui accennavo prima, anche se esistono diverse esperienze in controtendenza. La rete Jazz Mood School, di cui è capofila l’IO di Bobbio (tra i fondatori di ANSJ), riunisce più di 60 Istituti comprensivi distribuiti in tutta Italia e opera grazie alle professionalità di docenti e dirigenti pubblici, con il concorso di associazioni, festival, jazz club, scuole di musica, università.
L’aspetto più interessante riguarda le comuni riflessioni pedagogiche, metodologiche ed educative. Si parte cioè dalla didattica. Può sembrare ovvio, ma non lo è. Basti pensare che mentre tutte le discipline scolastiche operano da quasi due decenni per competenze, questo aspetto non è ancora completamente a fuoco in ambito musicale, e in particolare nel jazz e musiche derivate come il rock e il pop. Il paradigma audiotattile, a cui fa esplicito riferimento ANSJ già nella sua denominazione, è a nostro avviso la chiave di volta di questo processo e contribuisce a realizzare la didattica per competenze, offrendo prospettive inedite soprattutto ai musicisti e ai docenti.
Ci fai un esempio di esperienza innovativa che arriva dalla didattica “dal” jazz e musiche audiotattili e che andrebbe promossa in particolar modo?
Oltre alle esperienze della rete Jazz Mood School, che ho già citato, sono state inaugurate importanti iniziative come il Master di II livello dell’Università Roma Tre sulla musica d’insieme jazz, in collaborazione con il CDpM e ANSJ, a cui seguirà quello dell’Università di Palermo insieme alla Fondazione Orchestra Jazz Siciliana – The Brass Group e i seminari del CEMM di Bussero. Ma siamo solo all’inizio. Il tema principale riguarda comunque la formazione dei formatori che opereranno nelle nostre scuole e nella filiera pubblica.
La creazione e il rinnovamento del pubblico sono tra le questioni chiavi per il futuro del settore musica: come vuole incidere l’azione di ANSJ in questa direzione?
Durante la mia permanenza nel consiglio direttivo di MIDJ in qualità di referente della didattica, ho collaborato alla realizzazione di un’importante indagine sul sistema della didattica in Italia insieme all’associazione IJVAS che fotografa con lucidità le tematiche più importanti della didattica jazz. È questo il punto di partenza che dovrebbe, a mio avviso, orientare le politiche comuni delle diverse componenti associative della filiera musicale. La creazione del nuovo pubblico è un effetto virtuoso dell’azione di sistema e coinvolge innanzitutto il mondo della scuola con laboratori, lezioni/concerto, convegni per i docenti.
Diversi festival hanno introdotto lodevolmente in questi anni iniziative ‘educational’ con il concorso di molti musicisti e associazioni. Si tratta di un percorso che necessita ovviamente di tempi e modalità specifiche. Tuttavia, i risultati si sono già potuti vedere. Oltre alle migliaia di presenze degli studenti alle lezioni concerto in diverse città collegate al Jazz Day di aprile ci sono stati anche altri importanti segnali. Nel 2020 a Bergamo, grazie alla collaborazione con il festival Bergamo Jazz e la Fondazione Teatro Donizetti, ad esempio alcune scuole avevano prenotato più di 100 biglietti per i concerti. Poi purtroppo è arrivata la pandemia a bloccare tutto ma la strada imboccata è quella giusta.
Vorrei infine ricordare con una certa emozione il Jazz Day del 2020 con Angelo Bardini del Piacenza Jazz Club, che ha portato il jazz suonato da diverse decine di musicisti italiani nelle case di 8.000 studenti impegnati nella DAD. Si è trattato dell’evento jazz più diffuso nel mondo della scuola.