Pubblicato il 13/03/2019
Il mondo del jazz allarga le braccia alle nuove associazioni che stanno nascendo al proprio interno, confermando come fare rete sia ormai una condizione necessaria per un lavoro sinergico. Una sinergia che ha portato dodici fotografi italiani di jazz a unire le proprie forze e dare vita all’Associazione Fotografi Italiani di Jazz (AFIJ), seguendo così le orme di festival, musicisti, jazz club, etichette discografiche, management. L’associazione, formata da Giuseppe Arcamone, Antonio Baiano, Giuseppe Cardoni, Riccardo Crimi, Luca d’Agostino, Umberto Germinale, Pino Ninfa (presidente), Andrea Palmucci, Luciano Rossetti, Andrea Rotili, Domenico Scali e Paolo Soriani (vicepresidente), è entrata a far parte della Federazione Nazionale “Il Jazz Italiano” il 18 febbraio e contribuirà allo svilluppo e la crescita del jazz italiano, lavorando in accordo con le altre associazioni afferenti la Federazione.
AFIJ muove dall’assunto che la fotografia sia parte fondamentale della cultura legata al jazz. L’immagine ha sempre raccontato, spesso meglio di tante parole, la storia e nel caso della musica jazz ci sono immagini che sono delle vere e proprie icone per il grande pubblico. Fotografi come Herman Leonard, William Claxton, Francis Wolff, William Gottlieb hanno creato una iconografia che si affianca ai suoi protagonisti e ne è testimonianza imprescindibile per capire l’evoluzione di questa cultura musicale nel corso degli anni. Anche per questo motivo, i membri di AFIJ credono fermamente nella necessità di fare squadra e ridare dignità al ruolo del fotografo all’interno del mondo del jazz e nel complesso ambiente dei media e della comunicazione; dignità di ruolo che negli anni si è persa, spesso per motivi che nulla hanno a che fare con le capacità dei fotografi e la qualità del loro lavoro.
Abbiamo incontrato il presidente Pino Ninfa e il vicepresidente Paolo Soriani, che si sono resi disponibili a un breve scambio di visioni…. e di immagini.
L’8 febbraio scorso è nata l’Associazione Fotografi Jazz Italiani, un passo importante per regolamentare una professione che spesso viene lasciata in secondo piano. Quali sono gli obiettivi che intendete perseguire?
P.N.: “L’associazione è nata dopo mesi di discussioni e incontri. La nostra professione in passato ha sempre avuto, diciamo così, il sostegno di fotoamatori che cercavano nello scatto fotografico qualcosa di più che fotografare un musicista sul palco. La tecnologia ahimè ha concesso a chiunque di improvvisarsi fotografo ottenendo risultati minimi, ma funzionali per varie committenze, che siano festival, etichette discografiche ecc. La mancanza di cultura generale legata alla fotografia ha fatto il resto. Oggi l’appassionato fotografo ha solo voglia di mettersi in mostra con le sue foto, naturalmente gratis, badando più alla quantità che alla qualità. Quindi nel tempo si è creata una situazione per cui festival, etichette discografiche e altro, ricorrono a queste figure pubblicano solo foto gratis.
Ritengo sia un pensiero miope. Con tutto il rispetto per gli addetti ai lavori, ma perché un musicista, un manager, un direttore, un segretario amministrativo e altro ancora, hanno diritto a un compenso e il fotografo no? Questo non interessa a me personalmente che continuo a lavorare in questo campo, ma ritengo sia una possibilità che debba essere data ai giovani fotografi che si vorranno occupare di jazz. Quindi come prima cosa istituiremo una borsa di studio per giovani fotografi under 35, organizzeremo convegni e mostre per dare un segnale, mi auguro qualitativo e partecipativo”.
P.S.: “L’associazione nasce dopo mesi di incontri, discussioni e confronti a volte aspri, per restituire alla fotografia una centralità nell’ambito delle attività che ruotano intorno al jazz, alla musica e allo spettacolo più in generale. Lo scopo è quello di liberare la fotografia dal semplice compito di documentazione per farla tornare a essere elemento dialogico e complementare al discorso musicale in tutte le sue forme. Fin dai primi passi si cercherà di proporre progetti ai festival, promuovere l’attività artistica e autoriale dei soci e istituire giornate di formazione intorno alla figura del fotografo di spettacolo. Il duplice scopo è quello di formare i soci non solo dal punto di vista dell’aggiornamento tecnico, ma anche di riportare in primo piano il valore culturale della fotografia e infine fornirgli un codice etico comune che li contraddistingua e diventi garanzia di serietà e di qualità. Allo stesso tempo i fotografi saranno tutelati da uno sfruttamento indiscriminato del loro lavoro attraverso la richiesta del rispetto delle norme che regolano l’uso delle immagini a fini commerciali. Ma queste sono solo alcune delle questioni più scottanti che abbiamo raccolto in questi mesi”.
La vostra associazione è stata accolta anche nella Federazione Nazionale “Il Jazz Italiano”: cosa vi aspettate da questa collaborazione di reti?
P.S.: “Fare rete è fondamentale. Molto spesso ciò che lamentano i fotografi è un utilizzo sottovalutato della fotografia sia come strumento di promozione che come forma d’arte. Una buona foto può accrescere il valore di un musicista perché nella società della comunicazione visiva e multimediale l’immagine ‘rappresenta’ non solo il volto del musicista, ma il suo mondo creativo e artistico. Noi ci auguriamo che i musicisti, il management, gli stessi festival e i jazz club si accorgano di quanto la fotografia può fare per incrementare il loro lavoro e arricchire con il linguaggio delle immagini le proposte musicali dei loro artisti. Ci stiamo attivando per creare dei tavoli di discussione con ciascuna associazione della Federazione. Abbiamo molto più da offrire che da chiedere”.
Nel vostro codice etico parlate di molte restrizioni a cui spesso siete sottoposti: è ovunque così o ci sono eccezioni? In tal caso da cosa dipendono (ad esempio grandezza del festival, evento, etc.)?
P.N.: “Le restrizioni sono dovute principalmente al fatto che i fotografi accreditati sono davvero tanti. Non esiste più la differenza fra chi vive di fotografia e chi lo fa come hobby. Gli hobbisti non hanno una percezione molto spesso legata al rispetto e alla sensibilità di quando scattare. Ogni momento è buono per fare clic. Questo col tempo ha infastidito gli artisti attivando le loro giuste lamentele che hanno prodotto le restrizioni citate. Mi viene da dire che nei primi brani che vengono concessi di norma, raramente succede qualcosa di interessante. Quindi potere aspettare e raccogliere il giusto momento per fare clic può aiutare anche la manifestazione dove si svolge il concerto. Per fare questo bisogna che i fotografi rispettino i musicisti e il pubblico perché paga e ha diritto a non essere disturbato.
Piccolo o grande festival, piccolo o grande club conta poco. Quello che serve è la capacità del fotografo di essere discreto e sapersi includere come elemento del contesto in cui si trova e non elemento di disturbo”.
P.S.: “Purtroppo bisogna riconoscere che il problema ha un duplice aspetto: da una parte a fronte di un discreto numero di fotografi che sanno comportarsi sotto al palco di un festival o in un piccolo jazz club c’è una pletora di hobbisti improvvisati che in barba a qualsiasi rispetto per il pubblico e per l’evento si muovono e disturbano senza ritegno pur di scattare quella che pensano possa essere la foto del secolo. Dall’altra abbiamo un sistema che sfrutta la presenza di fotografi improvvisati o a volte anche solo ingenui per ottenere a titolo gratuito immagini per documentazione e archivio, quando non ne fanno un uso commerciale; per questo elargiscono in maniera a volte indiscriminata pass e accrediti. Il risultato è spesso una vera e propria battaglia sottopalco, a danno del pubblico e della concentrazione dei musicisti, che a volte tollerano questa situazione per la stessa ragione; sperare di avere delle foto gratis del concerto.
Noi riteniamo che da entrambe le parti sia necessario ritornare a un reciproco rispetto dei ruoli, lasciando innanzitutto a chi vive di fotografia la possibilità di compiere l’esercizio del suo lavoro con la libertà e il rispetto che vengono dati ai giornalisti, lasciando poi uno spazio di discrezionalità per tutti coloro che vivono la fotografia come passione e che, con il loro comportamento e la qualità delle loro immagini, dimostrano di essere a loro modo alla stregua dei professionisti. I fotografi dal canto loro devono rispettare i musicisti e il pubblico, e devono cercare di andare oltre la semplice documentazione proponendo uno sguardo diverso, originale e personale sull’universo musicale”.
La vostra associazione nasce anche e soprattutto per garantire dignità e rispetto alla vostra professione: cosa vi aspettate quindi in futuro?
P.N.: “Con la nascita di questa associazione e le iniziative che vogliamo mettere in atto ci aspettiamo che i fotografi professionisti e non, in particolare i giovani, abbiano la possibilità di relazionarsi con le committenze, per creare un percorso collaborativo e progettuale sia dal punto di vista economico che intellettuale. E’ una priorità in questo momento. Lo scopo della fotografia, non è solo ricevere il like su Facebook o altri portali, ma incontrare il mondo e concedersi di stupirsi grazie a quello che si riesce a raccontare con la nostra fantasia e la nostra osservazione. La cultura e il rispetto fanno il resto”.
P.S.: “L’associazione considera la fotografia non solo nell’ambito strettamente professionale, ma più in generale come atto culturale. Per associarsi non bisogna avere una posizione fiscale come fotografo; ma è chiaro che un fotografo non professionista ha gli stessi doveri di rispettare la legge nel momento in cui fornisce il frutto del suo lavoro in cambio di denaro. E fornire immagini destinate a un uso commerciale a titolo gratuito equivale a un atto di concorrenza sleale, un atto di pirateria. Per avere rispetto dagli altri interlocutori bisogna innanzitutto avere rispetto per i propri colleghi”.
Una domanda personale/professionale: qual è la differenza da un punto di vista “emozionale”, da fotografo, tra scattare durante un live o in progetti di posa?
P.N.: “A parer mio poche. Quando fotografo durante un live o una seduta di posa cerco sempre una storia legata a chi osservo. Naturalmente sono parametri diversi e apparentemente distanti, ma la fisicità dell’esistenza la ritrovo sia in luogo/palco che in un ritratto. Il contatto diretto con gli artisti è suggestivo, così come ritrovarsi a cercare storie ordinarie sui palchi e cercare di renderle speciali. Osservare genera incontri ed emozioni noi fotografi siamo fortunati”.
P.S.: “Sono per me due approcci diversi e complementari. Il live è un momento unico e irripetibile, frutto della combinazione di diversi fattori emozionali. Il fotografo è in quel caso un cacciatore. Deve fiutare il momento prima che questo si manifesti, deve cercare e trovare, scegliere il taglio, l’inquadratura in funzione dell’attimo fuggente. Prevenire il gesto, costruire relazioni altrimenti non percepibili e registrarle per sempre nel fotogramma. Personalmente amo tutto ciò che accade intorno all’evento, prima e dopo un concerto; momenti in cui l’artista si mostra nella sua umanità e si rivelano aspetti della bellezza interiore della persona.
La costruzione dell’immagine intorno a un artista o a un progetto discografico invece richiedono progettualità, immaginazione, conoscenza della musica, per dare con l’immagine una sorta di identità visuale del musicista. Ci sono foto posate di musicisti lontani dal palco che sono delle icone anche dopo anni. In questo il rock insegna; ma oggi i giovani artisti sono molto attenti alla comunicazione, grazie anche ai social, e tanti di loro affidano a professionisti o ad autori affermati il compito di dare un volto alla loro musica attraverso un progetto iconografico”.
Per avere maggiori informazioni su AFIJ: http://www.afij.it/2019/02/11/e-nata-lassociazione-fotografi-italiani-di-jazz/