Pubblicato il 08/03/2023
Genova è una città in perenne movimento. Ti spinge a guardare in alto quando la percorri seguendo la scia dei carruggi, e poi ti inchioda davanti a una distesa di mare che è un invito a partire, navigare lontano. Un po’ come il jazz, che quando lo ascolti riesce allo stesso tempo a parlarti delle sue radici e dei suoi sogni, un misto di passione e resilienza. Passione e resilienza. Proprio le parole che Marco Tindiglia, direttore artistico di Gezmataz, sceglie per raccontare i venti anni di un festival che fin dall’inizio ha coniugato grande musica dl vivo e attività didattica rivolta ai più giovani.
Un mix che rispecchia l’esperienza personale di Marco, allievo al Berklee College of Music di due guru della didattica musicale come Jerry Bergonzi e Charlie Banacos, che da docente e direttore artistico fa decisamente fatica a ragionare in termini di nazionalità quando si parla di jazz, e da musicista (mancino di piede) ha un sogno nel cassetto, affiancare con la sua chitarra sul palco un certo Rombo di tuono. Niente a che fare con il jazz, forse…
Le due parole chiave che sceglieresti per raccontare l’associazione culturale Gezmataz e il lavoro fatto finora? Una curiosità: da dove arriva il nome?
Passione e resilienza: senza di queste avremmo mollato il colpo molto tempo fa. Il nome venne fuori nel 2004, in occasione della prima edizione del festival: fu un mio amico, Vittorio Dellacasa, a proporre Jazzmatazz, titolo di un album realizzato nel 1993 dal rapper Guru che riuscì, in quella produzione e in altre che seguirono, a far incontrare il jazz con l’hip-hop. Successivamente “genovesizzammo” il termine, eliminammo un paio di z e fu così che nacque Gezmataz.
Nel 2023 Gezmataz Festival e Workshop taglia il traguardo della ventesima edizione: da direttore artistico prevale l’emozione, la soddisfazione, la voglia di nuovi traguardi?
Devo dire che in primis prevale soprattutto l’incredulità per aver portato avanti Gezmataz per tutti questi anni: ancora oggi faccio fatica a crederci, soprattutto per quel che riguarda la parte di produzione. Dal lato organizzativo ho dei limiti che probabilmente sono riuscito a compensare con la passione e la resilienza a cui ho accennato prima. La voglia di nuovi traguardi è sicuramente presente ed è quella che ci spinge a cercar sempre di migliorarci: in futuro mi auguro di riuscire sempre più a creare progetti di rete che consentano di dare visibilità a nuovi artisti ottimizzandone i costi di produzione.
Sin dall’inizio Gezmataz ha coniugato la grande musica dal vivo, portando sul palco artisti di fama internazionale, con l’attività formativa dedicata ai giovani musicisti: come si fondono queste due anime? Ci sono aspetti che sono rimasti gli stessi negli anni? E cosa invece è cambiato/evoluto in questo ‘mix’?
Dallo sponsor principale del festival, la Porto Antico S.p.a., abbiamo sempre ricevuto forti pressioni per portare sul palco artisti di fama internazionale, linea da me condivisa solo in parte, che però ha fatto si che gli studenti del workshop, tenuto contemporaneamente alle giornate del festival, abbiano avuto modo di assistere a concerti che forse non avrebbero potuto vedere/ascoltare dando loro, nel contempo, la possibilità di interagire con artisti e docenti molto in gamba, tra i quali George Garzone, Peter Erskine, Paolino Dalla Porta, Andy Sheppard, Furio Di Castri, Michele Rabbia, Dave Douglas, per citarne alcuni.
La formula è rimasta più o meno la stessa e il Gezmataz si è sempre concluso con l’esibizione dei partecipanti al workshop e con il concerto dei docenti. Con il passar del tempo ho cercato di porre sempre più attenzione alla propensione didattica dei musicisti coinvolti nel workshop e l’aver iniziato a insegnare nei conservatori mi ha consentito di interagire più facilmente e meglio con la didattica istituzionale consentendo agli studenti di ottenere così anche dei crediti formativi per la loro partecipazione al workshop.
Sulla forte dimensione didattica di Gezmataz quanto ha influito la tua personale esperienza formativa all’estero?
L’aver frequentato il Berklee College of Music e aver studiato privatamente per due anni con dei veri e propri guru della didattica musicale come Jerry Bergonzi e Charlie Banacos sicuramente ha rafforzato la mia inclinazione all’insegnamento che ho sempre amato cercando nel contempo di bilanciarlo con l’attività concertistica e quella di composizione. L’insegnamento è stato anche molto d’aiuto alla mia ricerca musicale e alla mia crescita personale: insegnare, così come suonare, significa soprattutto sapersi mettere in ascolto. Credo fermamente che l’insegnamento, fatto con passione, sia occasione di crescita tanto per lo studente quanto per il docente.
Il festival e la città di Genova: in cosa si somigliano e cosa hanno trasmesso l’una all’altro?
Genova è città di mare e la location principale del festival, il Porto Antico, ne racchiude e ne dischiude al tempo stesso le caratteristiche: il vento, il mare, con i suoi profumi e il porto con i suoi suoni. Genova però è anche una città difficile, passata dagli oltre 800.000 abitanti dell’inizio degli anni 70 ai 600.000 scarsi attuali, con l’età media più alta fra tutte le città italiane e il tasso di disoccupazione più elevato tra tutte le città del centro-nord. Il festival racchiude in se le stesse caratteristiche della città: nella location ritroviamo i suoni, colori e i profumi di Genova, negli spettatori ritroviamo purtroppo la stessa percentuale riguardo l’eta:un pubblico decisamente anziano che abbiamo bisogno di ringiovanire.
Credo che Genova ci abbia trasmesso la caparbietà: nonostante le tante difficoltà siamo arrivati alla ventesima edizione. Gezmataz alla città spero abbia trasmesso la voglia di aprirsi maggiormente dando più opportunità ai giovani che sono sempre meno e a un genere musicale che necessita e merita sicuramente maggiore diffusione.
Ci racconti l’esperienza del Jazzando InGenova 2022?
Jazzando inGenova ha visto la realizzazione di 18 concerti in altrettante strade e piazze della città, distribuite su 3 eventi settimanali per 6 settimane consecutive a cavallo di settembre e ottobre, con sconfinamenti nel mondo della pittura, della fotografia e del teatro. La manifestazione è nata grazie alla collaborazione tra Gezmataz e Assoartisti Confesercenti ed è stata sostenuta dal Ministero della Cultura- Dipartimento Spettacolo, attraverso un bando promosso dal Comune di Genova.
Si è trattato della prima edizione di questa rassegna che ci ha consentito di portare il jazz, e non solo quello, negli spazi urbani normalmente snobbati dal fare cultura. Ovviamente ci auguriamo che Jazzando InGenova possa fare da apripista a ulteriori momenti culturali nelle periferie. Questo progetto è stato anche l’occasione per dare visibilità e opportunità a musicisti genovesi, giovani e meno giovani, così da uscire dalla tradizione estiva del festival Gezmataz che in passato ha coinvolto prevalentemente artisti di levatura nazionale e internazionale.
I tre obiettivi che Marco Tindiglia considera prioritari per il futuro del jazz italiano: da musicista, da docente, da direttore artistico.
Faccio fatica a ragionare in termini di nazionalità quando si parla di jazz, a mio parere significa andar contro le sue origini e la sua storia. Il jazz è una musica globale che non teme le diversità, anzi se ne nutre e grazie a esse si sviluppa ed evolve. Mi auguro che in futuro ci possa essere una distribuzione più equa degli stanziamenti statali con un maggior supporto per la musica jazz e per i giovani musicisti.
Da docente vorrei che la musica di improvvisazione venisse considerata maggiormente a partire dalle scuole dell’infanzia e primarie insegnandola però più attraverso l’udito che non attraverso la vista, come in molte scuole si tende a fare ancora oggi. Come direttore artistico spero invece che si possa riuscire a dar sempre più spazio ai giovani consentendo così a questi di coinvolgere maggiormente i loro coetanei nella conoscenza di questa musica meravigliosa.
Fate parte di I-Jazz e nel 2019 siete entrati anche nel Sistema Musica Genova: la dimensione della rete quanto conta nel lavoro di un operatore culturale?
L’attività di mediazione svolta dall’operatore culturale tra il sistema artistico e il pubblico fruitore delle iniziative da questo prodotte è sicuramente complessa: spesso si è tenuti a ricoprire ruoli e compiti molteplici perché la struttura organizzativa di buona parte delle associazioni no profit risulta carente rispetto agli obiettivi prefissati. In tal senso l’appartenenza a una o più reti di settore risulta essere di grande aiuto perché agevola l’ottimizzazione dei costi delle produzioni e la calendarizzazione degli eventi evitandone per quanto possibile la sovrapposizione, facilita la veicolazione e la promozione dei progetti.
Last but not least per ciò che concerne Gezmataz entrare a far parte di I-Jazz ci ha consentito di avvicinarci con maggior consapevolezza ai bandi MIBACT: in tal senso abbiamo ancora ampi margini di miglioramento, ma qualche risultato significativo lo abbiamo già ottenuto.
Lasciandoci alle spalle gli anni complicati della pandemia, cosa bolle in pentola per l’edizione 2023: qualche anteprima?
Trattandosi del ventennale, stiamo facendo del nostro meglio per cercare di rilanciare il festival, poiché la scorsa edizione purtroppo ha registrato un calo di presenze significativo tra gli spettatori: è un dato che ci ha fatto riflettere e che deve portarci a un cambiamento di direzione, forse anche di quella artistica, chissà, vedremo. Preferisco non fare anticipazioni sulla programmazione fino a che non avrò maggiori certezze al riguardo.
Le tue collaborazioni con grandi musicisti non si contano, ma se dovessi esaudire un ‘piccolo’ sogno: sul palco con la tua chitarra al fianco di…?
I miti si hanno quando si è piccoli ed io, da bambino, essendo mancino, ne ho avuto uno, ma non musicale, calcistico: Gigi Riva, fantastico attaccante del Cagliari e della nazionale a cavallo tra gli anni 60 e 70, ma, prima ancora, uomo di grande statura morale che, purtroppo, non ho avuto l’onore di conoscere personalmente. Francamente non so cosa potremmo combinare insieme Rombo di Tuono e io, ma d’altronde nel jazz succede spesso prima di salire sul palco….
La foto di Marco Tindiglia in copertina è di Edona De
Scheda socio I-Jazz GezMataz