Pubblicato il 08/05/2016
Il Jazzit Fest, nasce da un editore che ama fortemente il jazz, Luciano Vanni. Dal 2013 il festival si svolge tra le mura del borgo medioevale di Collescipoli in Umbria, ma che da quest’anno cambia forma e diventa itinerante. Per saperne di più abbiamo incontrato proprio Luciano Vanni
IJ: Come nasce il Jazzit Fest?
LV: L’idea del Jazzit Fest nasce nel 2012 dal desiderio di creare un’occasione di incontro e confronto per la comunità jazzistica nazionale. Ho la fortuna di essere in contatto quotidiano con musicisti, addetti ai lavori e appassionati e mi ero reso conto che le fragilità sistemiche più evidenti del nostro ambiente erano il deficit di conoscenza tra colleghi, la scarsa propensione al mercato estero e la mancanza di un sentimento di ’io collettivo’. Allora mi son detto: creiamo un evento che sia un expo di settore, un laboratorio per aggiornarsi sul music business, un meeting tra musicisti e addetti ai lavori e soprattutto una festa della musica.
IJ: Che ruolo gioca la redazione di Jazzit nell’ambito del Jazzit Fest?
LV: Molto semplice: in occasione del Jazzit Fest tutta la redazione di Jazzit diventa il nucleo organizzativo dell’evento. Ad esempio Eugenio Mirti, musicista, didatta e critico musicale, colonna portante di Jazzit, è un partner di fondamentale importanza con la sua scuola di musica Notabene sotto il profilo della direzione tecnica. E poi abbiamo chiamato a raccolta i nostri abbonati, i nostri lettori e i nostri inserzionisti per coinvolgerli nella produzione, nell’organizzazione e nel finanziamento.
IJ: Come sono state le prime tre edizioni?
LV: A partire dal 2013, si sono riuniti nel piccolo borgo medievale umbro di Collescipoli, almeno quattrocento musicisti e centocinquanta addetti ai lavori, anche dall’estero. Il pubblico ci ha sempre seguito con interesse tanto che nell’edizione 2015 abbiamo registrato quindicimila presenze, un numero superiore alle aspettative. Ma ciò che mi ha più emozionato è stato aver accolto una nuova generazione di musicisti e operatori di settore, quelli più giovani, esordienti e alle prime esperienze, che hanno trovato nel Jazzit Fest un campus jazz “open air”, un luogo pronto ad accogliere le loro idee, la loro passione e la loro generosità.
IJ: Il Jazzit Fest promuove una ‘Carta dei Valori’: cosa significa e cosa vuole esprimere?
LV: La “Carta dei Valori” del Jazzit Fest consiste in un protocollo di dieci regole da seguire: zero contributi pubblici, sostenibilità ambientale, direzione artistica “open source”, residenza creativa, sharing economy, inclusione sociale con la musica, turismo culturale, volontariato attivo, azionariato diffuso e mobilità alternativa. All’inizio è stata dura per far comprendere questo ciclo di prìncipi, soprattutto tra alcuni colleghi, ma è stato affascinante verificare che la nostra “Carta dei Valori” abbia meritato il patrocinio onorario UNESCO, la good practice europea dal titolo “Culture Shapes The Smart City” e la buona pratica culturale #laculturachevince.
IJ: Ci spieghi meglio perché avete dichiarato di non voler usufruire di contributi pubblici?
LV: La scelto di includere un punto dove si rinuncia ai contributi pubblici è perché ritengo che stiamo vivendo un equivoco: confondere cultura con spettacolo. Il termine “cultura” è fin troppo spesso abusato ed è diventato nel tempo sinonimo di evento, concerto, festival, mostra, museo e opera d’arte. La cultura è liquida, impalpabile, in continua formazione e trasformazione. La cultura non si manifesta e non si espone, non è oggetto e nemmeno rappresentazione. La progressiva attitudine a considerare la cultura come evento, come arte o come patrimonio, e non come sapere, ricerca, formazione, istruzione ed educazione, ci ha spinto a ritenerla strumento di profitto e di consumo. Intendo la cultura come ciò che ti arricchisce dentro senza occupare spazio, la cultura è una condizione umana e un’esperienza di vita e non spettacolo, tantomeno patrimonio artistico.
IJ: E allora come vi finanziate?
LV: Il Jazzit Fest si alimenta attraverso fondi privati e grazie a collaborazioni attivate secondo i princìpi della sharing economy: una fitta rete di volontari e service, possiamo contare sulla vendita del merchandising e degli abbonamenti a Jazzit ma anche sui ricavi derivati dalla somministrazione della Jazzit Beer. La parte rilevante dei nostri costi sono sostenuti attraverso un finanziamento collettivo che passa attraverso la “Banca di Sviluppo Culturale” una piattaforma di crowdfunding che nasce per cofinanziare progetti etici di utilità sociale e di valore culturale. Il 60% dei ricavi finanzia il Jazzit Fest e il 40% un progetto culturale di educazione musicale promosso e prodotto all’interno del Comune che ospita l’evento.
IJ: Ci racconti come nasce il programma del Jazzit Fest?
LV: Il processo di costruzione del programma del Jazzit Fest nasce dall’iniziativa diretta di musicisti, promoter, fotografi, creativi, blogger, manager, fonici e produttori discografici. La direzione artistica è “open source” e tutti possono partecipare al Jazzit Fest. Il programma si articola attraverso le residenze creative: tre giorni in cui ciascun musicista o addetto ai lavori è ospitato da Jazzit per vivere un’esperienza di sharing artistico, di scambio di idee e informazioni, per registrare, provare, arrangiare e suonare musica nuova. La mia attività è quella di selezionatore di candidature, e ho voluto che JAZZIT, in quanto rivista, rimanesse terza e non favorisse una serie di musicisti ma anzi privilegiando i più giovani, i meno popolari, la creatività, l’audacia e il sense of humor, la brillantezza e l’educazione, la passione, l’entusiasmo e la vivacità intellettuale.
IJ: Cosa significa essere direttore artistico, secondo te?
LV: Un buon direttore artistico seleziona la qualità, senza se e senza ma, anticipando il futuro senza timore di perdere spettatori e meritarsi la fiducia dei suoi clienti, il suo pubblico pagante e i suoi sponsor, in virtù del fatto che è diventato un agitatore culturale e un intellettuale, un opinion maker capace di prendersi rischi senza cullarsi sugli allori delle star o del musicista già noti. Il direttore artistico e promoter del futuro non dovrebbe essere un costo per i contribuenti ma un valore aggiunto, una persona capace di cambiare i destini e il futuro di più comunità: quella degli artisti, quella degli appassionati e quella sociale, dei cittadini che accolgono l’evento.
IJ: Jazzit Fest ha introdotto il tema dell’inclusione sociale con la musica. Ce ne parli?
LV: Al fine di dimostrare che la musica, e nello specifico il jazz, rappresenti un valore sociale prim’ancora che artistico ed estetico, ho cercato di concepire un evento capace di mettere in relazione la comunità artistica con la comunità locale. Il Jazzit Fest è promosso solo nei piccoli centri urbani affinché tutti i protagonisti delle residenze creative siano ospitati e accolti dai cittadini e dalla comunità sociale. Così si riducono le distanze tra artista e pubblico a dimostrazione che la musica è un fatto sociale: ecco nascere studi di registrazione in abitazioni private, sale prova in cantina o in meravigliose chiese sconsacrate e numerosi palchi disseminati tra chiostri e piazzette. Ogni anno è una meraviglia incredibile verificare come nascono relazioni intime e profonde tra comunità locale, artisti, addetti ai lavori e pubblico.
IJ: A partire dal 2016 il Jazzit Fest diventa itinerante e arriva in Piemonte, nel Comune di Cumiana, ci racconta come mai questa decisione?
LV: Una scelta sofferta, quella di lasciare il meraviglioso borgo medievale di Collescipoli, ma in seguito al successo e affluenza riscossa per l’edizione 2015 ho visto un paese invaso e un pubblico che a tratti è sembrato asfissiare, e poi la gestione ordine pubblico e quella dei parcheggi è stata faticosa. Da qua l’idea di far sì che il Jazzit Fest, a partire dal 2016, diventi itinerante così da essere organizzato in un piccolo comune di una regione d’Italia ogni anno diversa.
IJ: Come nasce l’idea di comunicazione sui social e sulla rete del Jazzit Fest?
LV: Quando mi son trovato a dover studiare la comunicazione del Jazzit Fest ho cercato di adottare un linguaggio secondo i princìpi della sostenibilità ambientale, non volevo stampare poster, locandine e depliant. Mi son fatto fotografare, all’interno della redazione Jazzit, con in mano un foglio con l’hastag #eccomi_jazzit e ho pubblicato l’immagine sui profili di Jazzit, Jazzit Fest, Jazzit Club e Luciano Vanni: nell’arco di tre mesi abbiamo ricevuto oltre cinquecento immagini. Ogni edizione raccoglie un notevole numero di fotografie e immagini creative che sono testimonianza di un grande patrimonio di passione condivisa, e dove la rete e i social sono diventati uno strumento di comprensione della nostra attività. Da allora, la comunicazione #eccomi_jazzitfest è l’unica che adottiamo per trasmettere e veicolare la promozione dell’evento.
A questo punto non ci resta che fare a Luciano Vanni il nostro in bocca al lupo per questa nuova sfida e segnare in agenda le date della prossima edizione di Jazzit Fest a Cumiana (TO) il 24-25-26 giugno 2016.
Per maggiori informazioni: www.jazzitfest.it