Pubblicato il 23/01/2018
Fotografo, docente, promoter: Paolo Soriani negli anni è riuscito a dipanare la sua vena artistica su più fronti, dando ai suoi scatti, ai suoi ritratti l’impronta che lo rende riconoscibile. Le sue foto, infatti, hanno i colori della vita e l’essenzialità genuina di chi sa narrare i personaggi che popolano le sue storie.
Partiamo da “L’essenza dei confini, l’assenza dei confini”, un progetto di circa dieci anni. Fin dal titolo mi sembra raccolga la verità del tuo sguardo, sempre aldilà ma anche “dentro”, dritto al nucleo, essenziale. Cosa cerchi quando scatti?
“Sono sempre stato attratto dal concetto del confine e dal suo superamento, dal tema dell’isola come spazio interiore dell’anima, luogo di solitudine e al tempo stesso di contatto, attraverso l’acqua e l’aria, con l’universo. Credo che ogni persona sia unica, che abbia un’isola dentro di sé e una storia scritta sul volto. Ecco perché non mi stanco di ritrarre persone, perché è come un viaggio nei paesaggi interiori che si rivelano negli sguardi, nelle espressioni, nei gesti. E nell’attimo di una fotografia si può racchiudere tutto questo. Ma ci vuole tempo, ascolto, disponibilità, curiosità”.
Sei reduce da Umbria Jazz Winter: come è andata questa edizione?
“L’atmosfera che si respira nei giorni del festival è sempre festosa, considerando che migliaia di persone convergono in questa splendida città d’arte e riempiono le strade di voci e di vita. Purtroppo il festival si va sempre più chiudendo negli spazi limitati delle sale da concerto, coinvolgendo sempre meno la città, impedendo di fatto agli artisti di interagire tra loro se non negli spazi istituzionali del festival e divenendo così di fatto una semplice rassegna. Lo spirito di UJ è ormai perso.
Io credo che un festival debba essere innanzitutto una proposta culturale, con una direzione artistica, con delle linee guida coerenti e una programmazione che si apra anche ad altri linguaggi come la fotografia, il video, il cinema, perché siamo nell’epoca del multimediale e senza una offerta più ampia e ragionata il festival è solo un gran calderone di eventi musicali senza alcuna connessione o relazione tra loro. Purtroppo è una caratteristica di molti grandi festival, che a un discorso di proposta culturale preferiscono assecondare i gusti del pubblico”.
Quando tornerai con “Sorianskj Meets… ”? In occasione di UJW 2015 il progetto fu esplosivo.
“La bellissima esperienza nello studio orvietano degli artisti Massimo Chioccia e Olga Tsarkova e la mostra che ne è seguita hanno dato vita a Soriansky Meets, un progetto che sto proponendo in varie forme a festival italiani e stranieri. Portare i musicisti fuori dal palcoscenico per metterli in rapporto con altre forme di arte come la pittura, le istallazioni e con l’arte visiva in generale, si condensa nella sintesi espressa dallo scatto fotografico, che diventa unico nella interazione dei diversi elementi. “Soriansky Meets…” è ormai un format con diversi festival alle spalle e sempre nuovi spunti in evoluzione. Inizierò presto una collaborazione con una giovanissima e talentuosa pittrice romana”.
I tuoi ritratti ai musicisti parlano, facendo emergere la personalità del soggetto, le sue ombre, i suoi punti di forza, le sfumature più delicate, le punte di ironia. Come riesci a rendere così viva l’immagine?
“Aver studiato e aver praticato la musica per molti anni, conoscerne il linguaggio, mi permette di avvicinarmi ai musicisti esibendo un codice comune, e un interesse basato su una conoscenza sia della forma che della storia. Inoltre l’importanza di instaurare un rapporto che non sia solo finalizzato alla fotografia e che poggi sul reciproco rispetto permette di sciogliere l’imbarazzo o la diffidenza, creando quel ponte di affinità condivise che è elemento indispensabile di un buon ritratto”.
A ottobre scorso ha avuto luogo la prima riunione dei fotografi italiani di jazz, un incontro fortemente voluto e che ha avuto un ottimo riscontro. Cosa sta cambiando in questo ambito?
“Stiamo gettando le basi per un diverso modo di rapportarsi alla fotografia di musica, che poi sono anche i principi legati alla fotografia in generale. Il fotografo di musica non è rispettato come autore e come prestatore d’opera, è trattato come hobbista o come elemento da sfruttare in nome di una fantomatica quanto vacua “visibilità”. Di contro il mondo della fotografia (musicale e non) è pieno di personaggi improvvisati senza cultura della fotografia né etica, che ignorano principi fondamentali del comportamento in una sala da concerto così come in altre situazioni. Spesso tutto questo ha come unico fine la pubblicazione sui social o la possibilità di fruire gratuitamente dell’ingresso ai concerti.
Questa confusione di ruoli e di fini fa sì che da una parte ci sia uno svilimento e uno sfruttamento del lavoro del fotografo, e dall’altra una proliferazione di “appassionati” fotografi che si accalcano sottopalco in cerca unicamente dello scatto sensazionale, che poi magari regalano a fine concerto per alimentare il proprio ego. In questo caos è difficilissimo per coloro che hanno scelto la fotografia come professione riuscire a far valere i propri diritti e le proprie qualità, e dimostrare che si può fornire un servizio alla musica che sia un vero valore aggiunto e non una semplice cartolina ricordo che svanisce nella rete dopo 24 ore. L’Associazione avrà il compito di fare ordine in questo caos, e stabilire diritti e doveri sia per i fotografi che per coloro che si relazionano con essi, musicisti, promoter, tour manager, locali, festival”.
Riuscire a lavorare in gruppo, mettere le proprie energie a disposizione dei colleghi in logica di rete: quali sono i pro e i contro secondo te?
“I pro sono molti, più dei contro sicuramente. Incontrarsi, confrontarsi, scambiarsi conoscenza e supportarsi a vicenda significa crescere e aprirsi al nuovo, al diverso, nel pieno rispetto delle diverse identità. Se un fotografo ha un suo stile, una sua personalità, non ha paura di niente. E ritrovare le proprie foto in un volume insieme ad altri fotografi, ognuno con il suo stile e punto di vista, accresce sicuramente la visibilità del proprio lavoro. L’esperienza di quest’anno dove 36 fotografi hanno messo il loro sguardo al servizio di un’opera collettiva, coordinati da altri colleghi, per realizzare il libro sulla edizione 2017 di Jazz4L’Aquila (Jazz4Italy) è una scommessa già vinta. Ora si procederà all’editing, in vista della pubblicazione in primavera per le Edizioni Postcart. E finalmente sarà un vero libro fotografico dove ogni fotografo avrà la possibilità di raccontare l’evento in maniera coerente e rispettosa del suo stile”.
Quali progetti hai per il futuro?
“Soriansky Meets…” è sicuramente la scommessa del 2018. E poi un libro e nuovo viaggio a NYC per finire un progetto sulle metropolitane e prendere contatti con alcune gallerie per una mostra che dovrebbe avere luogo nella primavera 2019”.
Nella foto: Mark Turner (credits: Paolo Soriani)