Pubblicato il 17/07/2018
Un festival in movimento, non soltanto perché è connaturato nel suo nome, nella sua natura lo spirito dinamico che lo contraddistingue da tredici anni, ma perché non smette mai di crescere, di evolversi. Locomotive Jazz Festival è “nel bel mezzo del suo viaggio culturale di scoperta e trasformazione”. Crescita come filo conduttore di un programma che si conferma ampio, aperto, di respiro internazionale ma anche attendo alla qualità del jazz italiano. Crescita anche per le location in cui LJF si svilupperà, per il numero dei concerti, degli artisti “e le contaminazioni musicali che si intrecceranno”. Abbiamo raggiunto Raffaele Casarano, direttore artistico del festival, a rassegna iniziata (10 luglio) per parlare di questi tredici anni e dei suoi progetti.
Tredici di edizioni di un festival che è nel pieno della propria trasformazione e crescita: puoi raccontarci cosa sono stati per te, come direttore artistico, questi anni di Locomotive?
“Sono stati anni importantissimi per la mia consapevolezza personale, sia come essere umano che come artista. Il lavoro è tanto e i sacrifici sono stati molti. In compenso però le soddisfazioni e gli incontri importanti hanno restituito gioie e lacrime. Inoltre la conoscenza dei propri limiti è stata davvero fondamentale per me”.
Crescita: dei luoghi, del numero dei musicisti, delle contaminazioni musicali. Quali sono i vostri vostri obiettivi?
“Gli obiettivi sono tanti ma uno in particolare: restituire al grande pubblico il jazz, nato come musica popolare e diventato poi di nicchia (si dice così). Il nostro sogno è ridarlo in mano ai giovani affinchè tutto questo possa riassumere la sua vera identità: la libertà”.
Il programma abbraccia tutto luglio per finire i primi giorni di agosto, ma soprattutto si spinge anche nelle periferie salentine: quali sono i punti di forza di questa edizione?
“Bastano tre parole: Ambiente, Sociale e Giovani”.
Musicista e direttore artistico: i pro e i contro (se ci sono) di questo binomio.
“Non ci sono i contro, basta organizzarsi. A parte gli scherzi, credo che ogni direttore artistico di un festival debba conoscere prima la materia da vicino, per poi immaginare ed esplorare al meglio, esprimere, il proprio pensiero da organizzatore. Personalmente, riesco abbastanza bene in questo doppio ruolo e la Musica per me è un mezzo attraverso il quale comunicare e mettere a fuoco problematiche anche quotidiane, che tutti viviamo, cercando di sensibilizzare anche le persone che ho attorno”.
E’ appena uscito il tuo nuovo disco, “Oltremare” (Tuk Music), con un quartetto internazionale d’eccellenze: la cronaca “dei nostri mari” ha influenzato la tua opera?
“Assolutamente si, credo che bisogna cercare il sè oltre il mare sia fisico che psichico. Siamo in un momento dove mancano i sorrisi, gli abbracci senza guardare colori di pelle e cultura di provenienza. La musica può far incontrare, può unire. Il mio “Oltremare” altro non è che una sorta di liturgia in tredici punti, come fosse una preghiera globale per l’umanità. Aprirsi agli altri credo sia urgente e necessario, oggi più che mai”.
Giulia Focardi