Pubblicato il 15/09/2020
Il presidente dell’associazione I-Jazz, Corrado Beldì, intervista i soci direttori artisitici; un racconto dettagliato, fatto attraverso le parole dei protagonisiti del jazz italiano, per dare una testimonianza, una fotografia reale del passato e del presente, provando a immaginare il futuro del settore. E il protagonista della prima sessione è Paolo Damiani, musicista, compositore, direttore d’orchestra, docente, direttore artistico e mente del festival “Una Striscia di Terra Feconda”.
Partiamo dalla ripartenza: Striscia è ripartito con grande coraggio, ci racconti il programma di quest’anno?
“La parola “coraggio” ha caratterizzato l’intera XXIII Edizione. Siamo stati fin dall’inizio convinti di voler confermare il programma deciso molti mesi prima, in realtà la rassegna si è chiusa con l’aggiunta di tre concerti al programma iniziale. Un festival ormai storico, dislocato in più sedi (quest’anno ben cinque) non poteva subire uno stop, sarebbe stato un duro colpo. A parte piccolissime modifiche al programma, legate in particolare alla volontà di alcuni musicisti di evitare spostamenti per via del Covid, tutto è stato confermato, con un pubblico non meno numeroso delle passate edizioni. Casa del Jazz, Auditorium Parco della musica, Museo Archeologico Nazionale di Palestrina, Palazzo Farnese a Caprarola e Rocca dei Borgia a Subiaco: con la collaborazione impagabile del Direttore Arch. Marina Cogotti, del Comune di Subiaco, di Roberto Catucci, Flavio Severini e Luciano Linzi, abbiamo fatto un mezzo miracolo”.
Raccontami qualcosa della storia del festival: quando e perché nasce Una Striscia di Terra Feconda?
“Una Striscia di Terra feconda ha due direttori artistici: il sottoscritto e il francese Armand Meignan, direttore dei festival di Nantes e di Le Mans . La presenza di due direttori provenienti da due diverse nazioni consente di progettare l’incontro fra musicisti di due nazionalità diverse, fra approcci differenti nel grande universo del jazz e delle musiche improvvisate, fra discipline diverse (musica, teatro,poesia, didattica, etc.). “Feconda” perchè la peculiarità sono incontri creati ad hoc, musicisti che si vedono per la prima volta in occasione dei nostri concerti portando in scena una commistione di loro repertori (artisti sia di fama internazionale che giovani leve del jazz). Emblematica è l’esperienza della Residenza d’Artista, in collaborazione con MIdJ (Musicisti Italiani di Jazz) che vede dare spazio a giovanissimi musicisti italiani under 35 capitanati da un ospite francese che con una tre giorni di prove e vita musicale “comunitaria” prepara il repertorio del concerto che si realizza l’ultima sera della Residenza. Senza dimenticare il premio Siae insieme a Musica Jazz e il premio Cincinnato. Naturalmente nulla sarebbe possibile senza un’ottima direttrice organizzativa come Deborah Compagnino che guida una squadra meravigliosa”.
Spesso ti capita di organizzare concerti fuori dai teatri, in luoghi non deputati, quanto può servire il jazz per la promozione della bellezza?
“Il nostro Festival ha come peculiarità quella di cercare legami con spazi legati alla storia dell’arte italiana. Partendo dall’Auditorium Parco della Musica, esso stesso opera architettonica contemporanea, quest’anno in particolare Il Museo Archeologico di Palestrina e Palazzo Farnese a Caprarola sono state due cornici impareggiabili: siamo convinti che il connubio fra jazz e luoghi di tale bellezza, siti Unesco dotati anche di una propria “acustica” (i concerti al Museo di Palestrina sono stati completamente unplugged), donino allo spettatore un’esperienza diversa dalla semplice fruzione in luoghi solitamente adibiti ai live. Il biglietto di ingresso al concerto permetteva di poter visitare tali musei nelle ore precedenti l’evento, e più di una persona ci ha ringraziato di tale opportunità…che dire, sfida vinta”.
Come sta cambiando il pubblico di Striscia? Quali azioni per il futuro?
“Questo Festival rischia: proporre un intero programma dove la musica improvvisata la fa da padrona è rischioso, e questa è la sfida più interessante. Il pubblico presente era di tutte le età (abbiamo avuto anche una sezione interamente dedicata ai bambini, in collaborazione con IJVAS Il Jazz va a Scuola), attento e curioso, che si è spesso ripresentato in più serate. Abbiamo optato per una comunicazione, in particolare sui social, che creasse un ponte non solo con il pubblico affezionato a questo mondo sonoro, ma anche con ascoltatori nuovi, e abbiamo cercato di incuriosirli. Sembra che ci siamo riusciti”.
Mi racconti un vostro concerto indimenticabile?
“Ce ne sono tanti…. forse il duo di Danilo Rea con Mederic Collignon, o l’orchestra nazionale francese da me diretta con Gianluigi Trovesi…. più che un concerto, penso a musicisti che da noi sono di casa: Sclavis, Portal, Rita Marcotulli, Rosario Giuliani, per citarne alcuni”.
Mi racconti un concerto che invece non rifaresti?
“Quello di un gruppo che avrebbe dovuto suonare 50 minuti e ne ha fatti 80…..”.
Mi racconti chi è stato il tuo grande eroe del jazz e per quale motivo?
“Ornette, senza dubbio, per la capacità di andare nel profondo e di creare percorsi sempre sorprendenti, senza mai perdere la capacità di emozionare e commuovere. Genio assoluto, insieme a Miles, Haden, Gil Evans e tanti altri”.
Mi dici una grande soddisfazione e un grande rimpianto di questi anni.
“Lascerei da parte le tante soddisfazioni private; nella musica, forse, aver contribuito a creare i dipartimenti jazz nell’alta formazione e aver lavorato a lungo con Luigi Berlinguer per portare la pratica musicale in tutte le scuole. Ma anche aver fondato e diretto diversi festival con largo spazio ad artisti italiani, produzioni originali, residenze etc etc. Rimpianti? Mah, forse non aver mai imparato bene l’inglese, il che non mi ha impedito di suonare con Kenny Wheeler, Mangelsdorff, Gurtu, Metheny e tanti altri”.
Mi descrivi una immagine a cui sei molto legato.
“Tanti anni fa invitai a Roccella Gary Peacock, a cui prestai il mio basso Gand et Bernardel, Paris 1881. Se ne innamorò, come dimostra la splendida foto di Roberto Masotti”.
Rispetto al tuo percorso da musicista, ci racconti i tuoi prossimi progetti musicali?
“Amo lavorare con giovani talenti, l’ONJGT o la residenza fatta alla casa del jazz con nove musicisti selezionati tramite bando Siae vinto dalla fondazione MUsica per Roma. O un nuovo gruppo con Diana Torto, Falzone, Tittarelli e Paternesi, di cui presto uscirà un disco per la Parco della Musica. Concerti con il caro amico Rosario Giuliani, con Daniele Roccato, con Danilo. Sto anche ragionando su un disco in solo, vediamo”.
Tornando a Striscia, cosa significa fare il direttore artistico di un festival?
“Nel caso specifico condividere il ruolo di direttore artistico con Armand Meignan è una componente essenziale del festival: si decidono insieme gli artisti italiani e francesi da invitare ma in particolare i connubi inediti da creare. Ognuno di noi due è particolarmente attento alla scena jazz del proprio Paese e unendo le nostre “visioni” vengono fuori dei progetti originali e inaspettati. Quest’anno in particolare, in cui fino all’ultimo minuto i viaggi da e verso l’estero sembravano impedire la partecipazione degli ospiti stranieri, abbiamo capito cosa significa il ruolo di direttore artistico: impegnarsi per non tradire il proprio ideale di festival; gli ospiti francesi non potevano e non dovevano mancare, e così è stato”.
Hai già qualche idea per la direzione artistica (con Rita Marcotulli e Alessandro Fedrigo) di l’Aquila 2021?
“Stiamo condividendo pensieri e intuizioni, l’Aquila come Labirinto da attraversare, percorsi multipli come un Canto dantesco (nel 2021 si celebrano i 700 anni del sommo poeta). Nel mezzo del cammin di nostra vita, ci ritrovammo per l’Aquila ricostruita”.
Ci racconti un socio I-Jazz che ti piace per la sua programmazione?
“A me piace la varietà che tutti i soci riescono a mettere in campo nell’insieme. So che spesso ci sono scelte obbligate, ragioni di botteghino o di equilibri con i politici locali, ma nel complesso vedo una grande apertura verso il nuovo e a favore dei giovani. Un consiglio: se programmate nomi di sicura resa al botteghino, fate suonare un gruppo di giovani nel set di apertura”.
Ci segnali tre nomi interessanti nel panorama del giovane jazz italiano?
“Ne conosco almeno 50-60: tutti quelli selezionati per le varie edizioni dell’ONJGT e della residenza alla casa del jazz, ad esempio, con un livello tecnico impressionante e notevoli capacità espressive. Se proprio ne devo indicare tre, allora dico Francesco Fratini, Simone Alessandrini e Sara Jane Ceccarelli: da poco abbiamo suonato in quartetto a Follonica con esiti per me straordinari”.
Quali azioni dovremmo dare per portare più musicisti italiani nel mondo?
“L’idea alla base del nostro festival è quella di portare in Italia musicisti Francesi, facendo nascere interazioni e progetti inediti . Si potrebbe pensare ad un’operazione inversa, ovvero collaborare con festival stranieri cercando di suggerire lo stesso tipo di approccio, spingerli quindi a ospitare in ensemble stranieri degli artisti italiani – di fama ma anche giovani talentuosi- esattamente come succede ad Una Striscia di Terra Feconda. I festival all’estero potrebbero invitare anche gruppi italiani già costituiti che magari inglobano un musicista della nazione ospitante. Mi pare che le relazioni con EJN e co AJC possano produrre esiti interessanti sotto questo profilo”.
Una nuova idea progettuale su cui dovrebbe concentrarsi I-Jazz?
“La ricerca, la ricerca, la ricerca! L’arte deve interrogare e destabilizzare, condurci altrove, nel mistero. Mi piacerebbe creare un vero centro di ricerca per le musiche più avventurose e meno prevedibili”.
Se il Ministro ti dicesse: “posso esaudire un tuo desiderio”, cosa gli chiederesti?
“La ricerca, la ricerca, la ricerca!”.
Ph: Massimo De Dominicis