Pubblicato il 10/11/2020
Continua il racconto del jazz italiano attraverso la voce di alcuni dei suoi protagonisti. Il Presidente dell’Associazione I-Jazz prosegue la sua ricerca delle esperienze e delle storie, dei caratteri e delle anime dell’associazione grazie alle approfondite interviste ai soci. La protagonista di questa settimana è Paola Martini, Presidente del Circolo Culturale Controtempo, tra i punti di riferimento del jazz italiano per innovazione e contemporaneità della programmazione.
Partiamo dal programma di quest’anno, in un momento così difficile Jazz&Wine of Peace ha presentato comunque un bellissimo programma. Ci racconti le difficoltà di questo 2020?
“In questa 23° edizione sono state molte le difficoltà sia logistiche che artistiche. Dal punto di vista logistico ci siamo scontrati con la rimodulazione delle capienze proseguita fino a pochi giorni prima del festival: le capienze di alcune sale già sold-out è stata più che dimezzata per adeguarci al DPCM del 16.10, giusto per fare un esempio! Purtroppo alcune delle storiche cantine in cui si svolgevano i nostri concerti non hanno potuto ospitare i concerti a causa delle nuove disposizioni e della situazione di difficoltà, ma, per non escludere chi ci ha supportato per tanti anni, abbiamo trovato delle soluzioni alternative per coinvolgere tutti, nel totale rispetto delle normative. Purtroppo abbiamo dovuto annullare gli eventi in programma in Slovenia in quanto, proprio in corso di festival, è stato proclamato un parziale lockdown nel paese, obbligandoci a rimandare gli eventi.
Per quanto concerne la parte artistica invece abbiamo volutamente scelto di concentrarci su un programma prevalentemente italiano, confermando solo alcuni dei nomi stranieri che avevamo previsto inizialmente (in tempi “pre covid”, perché dopo il brindisi di chiusura del festival, già pensiamo all’edizione successiva!); ciò nonostante ci sono stati diversi annulli anche durante i giorni del festival. Siamo tuttavia fieri di poter dire che abbiamo egregiamente sostituito tutti i concerti con artisti di assoluta qualità! Sicuramente è stato un festival che ricorderemo per diversi anni anche per l’adrenalina che ha animato le nostre giornate ad ogni squillo di telefono! Eppure, a festival concluso, il bilancio è assolutamente positivo: eravamo consapevoli del fatto che questa edizione sarebbe stata diversa, ma anche convinti che il nostro pubblico ci avrebbe sostenuti, non solo con la sua presenza, ma con il rispetto delle norme e così è stato.
Sono mancati gli abbracci e le strette di mano, ma abbiamo compensato con i sorrisi e gli sguardi!
Ancora una volta si è creata la magia che contraddistingue queste giornate e, quello che ci resterà, nonostante il distanziamento e le mascherine, è il potere della musica, che ha il grande dono di unire, commuovere e farci sorridere. Distanti, ma sempre vicini grazie alle note. Non era scontato, eppure l’atmosfera è stata di gioia ed emozione. Questo sopperisce a tutte le difficoltà”.
Raccontaci qualcosa della storia del festival: quando e perché nasce Jazz&Wine of Peace?
“Il Jazz&Wine of Peace nasce 23 anni fa in maniera spontanea, dal desiderio di unire due grandi passioni dei suoi fondatori: quella per il jazz e per il territorio che ci ospita, il Friuli Venezia Giulia, terra non solo di grandi vini, ma anche di confini e frontiere, di diversità e contaminazioni, terra di mescolanze e unioni, dove i confini sono tracciati, ma non rappresentano le sue genti, terra mutevole e che difficilmente si riconosce nelle etichette. Insomma, forse amiamo il jazz proprio perché ci riconosciamo in lui, che così tanto ci somiglia!”.
Il festival ha portato anche la nascita di un progetto di rete nazionale, ce ne parli?
“Forti della ventennale esperienza maturata abbiamo dato vita ad Italia Jazz&Wine, un progetto nazionale che coinvolge sette regioni della nostra penisola. Il fulcro del progetto sono una stretta collaborazione con realtà̀ produttive di ciascun territorio (cantine e aziende vitivinicole) e la promozione e la valorizzazione della musica jazz in un contesto inusuale, come per l’appunto quello enologico, per permettere così anche un pubblico in continua crescita e specializzato come quello vitivinicolo, di avvicinarsi e appassionarsi alla musica jazz.
Il progetto intende svilupparsi e strutturarsi per diventare un punto di riferimento per la promozione della musica jazz in questa singolare sinergia con la promozione del turismo di qualità. L’obiettivo futuro è includere nuovi partner, ampliando il raggio a nuove regioni, confermando e consolidando la sostenibilità̀ del programma e della proposta musicale.
All’interno del progetto di più ampio respiro rappresentato da Jazz & Wine Italia nasce il Jazz&Wine Day, per cui è stata scelta la data del 16 ottobre, giornata internazionale dell’alimentazione.
Il Jazz&Wine Day vuole essere una giornata simbolo, che celebri non solo il connubio della musica jazz e del vino, ma anche porre attenzione alla sostenibilità, alle tradizioni locali e tipiche di ciascun territorio, esaltandone le peculiarità e alle produzioni biologiche ed ecosostenibili, per una totale immersione nel Made in Italy.
Il Jazz&Wine Day ha visto l’adesione di ben 13 regioni ed è stato molto emozionante perché sicuramente questa annualità non è stata la più semplice per iniziare! Credo che il lavoro svolto abbia gettato le basi per il futuro perché questo è un progetto in cui crediamo moltissimo e che svilupperemo negli anni a venire”.
Quali sono le relazioni con i produttori di vino e con il territorio?
“I produttori sono coinvolti direttamente nella realizzazione del festival; oserei dire che sono in qualche modo direttori artistici insieme a noi! Ogni anno ci sorprendono con idee uniche e innovative. Non si limitano a ospitare gli eventi, ma sono coinvolti in prima persona. Anche quest’anno, nonostante le difficoltà che tutti conosciamo, sono stati nostri partner proattivi, dimostrando che il festival per loro è importante tanto quanto per noi, senza arrendersi di fronte alle difficoltà che avrebbero potuto scoraggiare chiunque.
Quest’anno poi il festival si è calato più che mai sul territorio dedicando ogni giornata a un vitigno autoctono, fulcro di approfondimenti e degustazioni ad hoc”.
Avete sempre un programma artistico molto vario e interessante, come scegliete gli artisti?
“Siamo attenti a ogni genere di proposte, dando spazio a quelle meno convenzionali e ad ampio respiro. Non ci poniamo limiti di età, genere, grado di innovazione. La struttura stessa del festival ci consente di sperimentare, consentendoci di alternare artisti più conosciuti a quelli in ascesa. E, anche se ospitiamo circa 40 concerti racchiusi in 5 giorni, scegliere è sempre difficilissimo!
Cerchiamo sempre di dedicare spazio anche ad artisti regionali. Quest’anno ad esempio abbiamo ospitato il duo Discantus, di cui abbiamo anche prodotto il disco: un progetto che prende il via dai “Discanti Aquileiesi” (canti sacri della diocesi di Aquileia, trascritti dai codici miniati del 1200 conservati nel Museo Archeologico di Cividale del Friuli) coniugati con la disciplina dell’improvvisazione e materiali di epoca successiva. Il concerto si è tenuto all’Abbazia di Rosazzo, un luogo incantevole del nostro Friuli Venezia Giulia, reso ancora più magico dalla musica. Questo è il festival: musica, territorio, magia!”.
Siete uno dei festival italiani che ha più pubblico straniero, ci raccontate come promuovete il festival all’estero?
“Il pubblico straniero, prevalentemente austriaco, ma anche tedesco, sloveno e croato, rappresenta storicamente il 70% degli spettatori. Da diversi anni viene organizzata una conferenza stampa a Vienna dove presentiamo il festival, ma lavoriamo anche in sinergia con i maggiori festival di questi paesi per la promozione reciproca.
L’appuntamento con il Jazz&Wine of Peace è entrato nel cuore del nostro pubblico e, negli anni, si è creato un meraviglioso rapporto di fiducia. Riceviamo infatti prenotazioni già nei primi mesi estivi, ancor prima di pubblicare il programma. Il nostro pubblico sa che non lo deluderemo e questo, seppur ci faccia sentire una grande responsabilità, ci riempie di orgoglio.
Vedere che, nonostante il momento che stiamo attraversando, tantissime persone hanno scelto di essere con noi, ci ha fatto capire che stavamo facendo la cosa giusta e quanto il festival conti per loro: siamo una enorme famiglia, che parla diverse lingue e che si riconosce di anno in anno.
Credo che sarebbe sbagliato sottovalutare questo fattore nel momento di analisi del pubblico: l’atmosfera che si respira in quei giorni, il legame che si crea con gli spettatori, la convivialità, sono tutti fattori unici e caratteristici dell’accoglienza italiana, che fanno sì che, una volta partecipato a un’edizione, sia davvero difficile non tornare a trovarci”.
L’anno scorso avete lanciato un’idea di un festival transfrontaliero, ci dici qualcosa di più?
“Due anni fa Nova Gorica, unitamente a Gorizia, è stata candidata a Capitale della Cultura Europea 2025 e ci è sembrata un’ottima idea accogliere l’invito di un nostro storico partenr sloveno per realizzare un festival transfrontaliero. Un progetto nato, come spesso succede da queste parti, davanti a un bicchiere di vino che ha visto così la nascita di Glasbe Sveta / Musiche dal Mondo.
Non si tratta di due festival che si uniscono ma dello stesso progetto che si svolge a cavallo di due nazioni che nel nostro immaginario sono lo stesso territorio. Musiche dal Mondo vuole ribadire come il dialogo e il confronto tra territori siano opportunità di crescita e sviluppo per il territorio stesso, volte a valorizzare Gorizia e Nova Gorica non più come due entità separate, ma come una sola realtà pronta ad affermare la sua unicità e il suo immenso patrimonio”.
Mi racconti della vostra stagione Il Volo del Jazz?
“Quest’anno l’obiettivo che ci siamo posti per il Volo del Jazz è la valorizzazione della ricchezza e l’altissima qualità del Jazz italiano. In quest’anno durissimo abbiamo voluto sostenere il capitale umano che gravita attorno alla musica. Un programma ricchissimo che purtroppo ha dovuto subire uno stop, ma che “teniamo in caldo” per il nostro pubblico. Non abbiamo annullato nessun evento, ma solo posticipato a non appena ci sarà possibile tornare a gioire della musica dal vivo. Come tanti altri soci abbiamo dovuto interrompere la rassegna in ottemperanza all’ultimo DPCM, decisione che ci troviamo costretti a rispettare, nonostante gli sforzi compiuti per rendere gli eventi dei concerti assolutamente sicuri”.
Ci racconti un socio IJazz che ti piace per la sua programmazione?
“Gigi Esposito e il suo Gezziamoci a Matera, con il suo progetto di resistenza! C’è una sua dichiarazione che cito spesso: “Non è detto che se piccolo sia meno importante” ed è così che deve essere: tutti i festival, siano essi piccoli o grandi, sono preziosi e vanno protetti. La musica, a prescindere, genera aria pulita per i nostri polmoni ed è nostro obiettivo tutelarla”.
Ci segnali tre nomi interessanti nel panorama del giovane jazz italiano?
“Non mi trovo a mio agio a citarne solo tre, sono tutti bravi! E non è retorica, credo che ogni artista abbia tanto da dire e vada stimolato e spronato! In ognuno c’è un mondo da scoprire e approfondire e credo che sia nostro compito, soprattutto in questo momento di difficoltà!”.
Quali azioni dovremmo fare per portare più musicisti italiani nel mondo?
“Credo che si dovrebbe puntare sulla circuitazione dei musicisti, in collaborazione con le altre realtà associative internazionali. Programmi di scambio, promozione reciproca e così via, puntando soprattutto sugli artisti più giovani, che hanno maggiore difficoltà a farsi conoscere fuori dai confini nazionali”.
Una nuova idea progettuale su cui, a tuo avviso, dovrebbe concentrarsi I-Jazz?
“Credo che i progetti avviati da I-Jazz in questi anni stiano dando i suoi frutti e credo che si dovrebbe proseguire su quella strada: progettualità condivise, circuitazione di musicisti, il lavoro del jazz e così via. Mi piacerebbe che ci fosse una ancora maggior collaborazione tra i vari festival e le varie associazioni e credo che I-Jazz potrebbe avere un ruolo chiave in questo”.
Se il Ministro Franceschini ti dicesse: “Posso esaudire un tuo desiderio”, cosa gli chiederesti?
“Un desiderio oppure un sogno? Il primo che mi viene in mente sarebbe che il jazz potesse disporre di più risorse. Vorrei sottolineare come in questi mesi difficili il jazz abbia saputo plasmarsi alle difficoltà, continuando a garantire cultura musicale, il più sano ristoro per la mente che ci sia”.