Pubblicato il 26/02/2021
L’Onyx Jazz Club di Matera è ormai un’istituzione del jazz italiano. Nata nel 1985, l’associazione da oltre 30 anni realizza Gezziamoci, il jazz festival della Basilicata, ed è attiva in diversi ambiti, spendendosi con molteplici attività tra ambiente, fotografia, editoria. Nell’intervista condotta dal presidente di I-Jazz Corrado Beldì, oltre al fondatore e presidente Gigi Esposito, sono stati coinvolti anche altri soci dell’Onyx, rafforzando l’idea di una squadra affiatata, capace di lavorare in team per promuovere l’identità profonda e radicata della loro realtà. Nello specifico: Michele Cappiello, Vito Cilla e Antonio Nicoletti (soci storici); Kevin Grieco (direttore artistico); Raffaele Lamacchia (vicepresidente); Nicola Palermo (consigliere) e Chiara Rizzi (consigliere e responsabile OnyxLibro, Presidio del Libro Matera)
Una domanda che ti avranno già fatto in molti, ci racconti come nasce l’associazione Onyx Jazz Club?
G.E.: “La passione lega dal 1985 l’Onyx Jazz Club al suo territorio, ai suoi fondatori e animatori, alla sua stessa vita. E’ una passione che ha mosso i primi passi con l’istinto di un bambino e con la follia di un artista. E non poteva essere altrimenti. Il jazz è soprattutto istinto, è soprattutto follia intesa come disordine creativo. Come caos che genera ordine nell’accezione che ne dà George Balandier, come “elogio del movimento”. Come energia.
Lasciandosi spingere da questa forza, un geometra che sognava da chitarrista, un agronomo che sognava da batterista, un farmacista che sognava da pianista e un ragioniere che sognava da ragioniere, e altri sognatori e altri appassionati decisero di trasformare le loro aspirazioni in realtà. Fino ad allora avevano macinato chilometri di notte e di giorno, fra strade che accompagnavano distese di grano, pini e cipressi, pur di ascoltare con le loro orecchie, di vedere con i loro occhi e di toccare con le loro mani, quella musica, sentirla in tutti i sensi. Preferendola ai mondiali di calcio e, tuttavia, esultando al rientro per un goal di Rossi. Allora non c’era internet e di telefonini in giro c’erano solo quelli di casa, senza fili. Felici per aver sognato al ritmo di cinque quarti con Dave Brubeck, con le melodie libere ed energiche di Cecil Taylor, o lo swing di Lionel Hampton. A Bari, a Molfetta, a Taranto. Ma anche a Roma o in Calabria, anche se non più con la vecchia moto, ma con piccole auto. Era sempre jazz, ma di quello stellare, fino ad allora solo letto sui libri, ascoltato attraverso quei grandi dischi neri, solo sognato.
Poi sempre meno viaggi e sempre meno chilometri e sempre più passione. Così si avvicinarono alla realtà. Costruirono una prima associazione che già nel nome indicava le ragioni di quella iniziativa: “Amici del jazz”. Amici legati dalla passione per il jazz e dalla necessità di comprendere quei ritmi e quelle melodie direttamente dalla voce dei protagonisti. Nessuno avrebbe mai immaginato dove sarebbero arrivati. E quali traguardi sarebbero stati raggiunti. “L’opera d’arte appartiene a quei rari doni della vita che sono destinati a soddisfare un bisogno, che essi stessi risvegliano nell’attimo stesso in cui il loro esserci lo soddisfa” (G. Simmel). Il loro bisogno non si sopiva mai. Anzi, ad ogni ritmo diventava ancora più forte. Forse era il segreto della loro passione (con cui affrontarono persino il terribile interrogativo di un assessore comunale: “Il jazz, e cos’è il jazz?”).
Gli “Amici del jazz” cambiarono nome e si riunirono sotto il marchio Onyx Jazz Club. Fu una decisione rapida, costretta dalla inadempienza di organizzazioni nazionali che guardavano solo al numero delle loro tessere (inutili pezzi di carta che a tutti servono tranne a chi le possiede). Eppure, fu allora che in una cittadina di provincia, così separata dal resto del mondo, il silenzio fu inesorabilmente spezzato dal ritmo di una batteria, dalla melodia di una tromba. I soldi mancavano (i musicisti venivano spesso ospitati per la cena a casa dei miei genitori), ma riuscimmo a raggiungere due obiettivi: risparmiare e passare momenti a tavola con alcuni fra i più importanti musicisti di jazz. Che diventarono molto presto amici. Come Gianluigi Trovesi, Franco D’Andrea, Ettore Fioravanti, Paolo Fresu, Maurizio Giammarco. E ben presto, con l’energia tipica del jazz, il nostro progetto prese forma orientandosi su tre linee: la rassegna di concerti, la formazione e la valorizzazione dei talenti locali, la produzione di dischi.
Nacque Gezziamoci, il jazz festival della Basilicata, e poi la scuola e il club dei produttori. Cambiarono gli amici, alcuni andarono via, altri furono ‘costretti’ a volare tra le nuvole, per sempre. Ai vecchi amici se ne aggiunsero altri, più giovani. Ma la passione non conosce differenze di età o limiti. Volevamo leggere il mondo con la lente d’ingrandimento del jazz, essere nel mondo accanto a quei suoni che arrivavano dalle parti più profonde dell’inconscio, dalle zone più intime dell’anima. Capimmo ben presto che il jazz non è solo una musica. Il jazz è un approccio alla vita, è un modo di guardarsi intorno, uno specifico modo di agire o di non agire. E’ un mondo interiore senza confini, ideologici, culturali, storici, geografici, etnici. Un mondo dove si parlano diverse lingue, si ripudia la guerra, si cerca la felicità senza necessariamente trovarla, dove l’istinto e la follia si guardano allo specchio della ragione confondendosi senza paure.
Dopo 35 anni eccoci qui, con la nostra musica, i nostri dischi, i nostri corsi e seminari, il nostro festival. Ma la nostra storia non finisce qui. Dopo tanti anni di battaglie per una piccola sede, l’Onyx Jazz Club prosegue il suo cammino. A partire dalla Casa Cava che è stato il nuovo, importante, traguardo. Il luogo d’eccellenza della produzione culturale legata al jazz e non solo. E poi ci sono i Settori legati alle passioni di ognuno dei soci: OnyxAmbiente, OnyxLibro Presidio del Libro Matera, OnyxFotografia. L’associazione si è trasformata in una vera realtà culturale dove si realizzano piccoli sogni, dove si progettano paesaggi sonori, dove gli elementi di base sono la stima, l’amicizia tra le persone e l’amore incondizionato verso la nostra terra, la Basilicata”.
Quali sono state le tappe più importanti di questi anni per Onyx Jazz Club?
G.E.: “Mi piace immaginare gli anni trascorsi dal 1985 ad oggi come il percorso di un lungo sentiero di trekking su terreni e con pendenze diverse, dove gli ‘escursionisti’ che fanno parte dell’Onyx hanno condiviso luoghi e paesaggi esaltanti. Abbiamo voluto intraprendere il sentiero della musica e questo è il senso della caparbietà con cui abbiamo voluto portare il jazz in una città come Matera, dove l’unica realtà musicale era il Conservatorio di Musica, che per sua impostazione non gradiva che si parlasse o si facesse jazz. Le tappe più significative? La voglia di organizzare un festival – il Gezziamoci – che nel corso degli anni è uscito dagli ambiti ufficiali dei teatri e dei club e ha subito un processo di osmosi con il territorio, arrivando nelle piazze dei Rioni Sassi, nei terrazzi, portando i musicisti sui balconi, nei musei. Insieme alle guide escursionistiche nel Parco della Murgia abbiamo organizzato i concerti all’alba, riscoprendo figure della tradizione popolare oramai scomparse come il Banditore. E poi la nascita dell’etichetta discografica (anno 1993), con la formula dell’Azionariato Popolare, che tutti oggi chiamano crowdfunding; e la realizzazione del centro culturale Casa Cava nel cuore del Sasso Barisano, sogno condiviso con Toni Strammiello.
Inoltre: la curiosità di oltrepassare la linea del jazz per scoprire nuovi orizzonti, cercando un nesso con la cultura delle nostre comunità, all’origine del progetto di respiro internazionale SFR (Suoni del Futuro Remoto) realizzato in collaborazione con la Fondazione Matera Basilicata 2019, nell’anno di Matera Capitale Europea della Cultura; la creazione dei vari Settori che fanno dell’Onyx una vera associazione culturale democratica dove tante persone esprimono le loro passioni i loro interessi mentre il gruppo jazz cerca sempre le connessioni utili al dialogo, al confronto. E per ultimo, aver avuto la possibilità di conoscere persone stupende che oltre a essere grandi musicisti sono divenuti grandi amici, che ha determinato il nostro modo di vedere il mondo”.
Quali sono i vostri obiettivi per i prossimi anni?
V.C.: “Sono certamente molteplici. Ottenere il riconoscimento dal Ministero e rientrare tra le realtà beneficiarie FUS; riuscire a gestire uno spazio culturale libero da condizionamenti da parte di altre realtà opprimenti; proseguire nelle attività culturali (formazione e promozione) utili a giovani musicisti; continuare a fare di Onyx un polo di riferimento culturale in ambito italiano; intessere rapporti con realtà nazionali e extra nazionali per scambi culturali. Onyx deve diventare una fucina di progetti europei. Per fare questo c’è bisogno di giovani esperti che imparino non solo ad essere musicisti ma progettisti. Nel nostro futuro c’è la passione per la nostra storia, pertanto dobbiamo riprendere molte cose fatte nel passato e con l’aiuto dei giovani riproporre con nuove modalità. La musica deve essere la base per un dialogo comprensibile anche e soprattutto nel rispetto dell’ambiente. Ciò che è successo con il progetto SFR Suoni del Futuro Remoto, abbiamo attinto idee e suoni dall’ambiente intorno a noi e l’abbiamo fatto diventare un nuovo progetto SFP Suoni del Futuro Prossimo”.
Quali sono i rapporti che avete instaurato con la vostra realtà territoriale?
C.R.: “Nel corso degli anni l’Onyx ha lavorato costantemente a consolidare e ampliare la sua rete a vari livelli e utilizzando diverse forme di collaborazione. In questo senso è possibile sintetizzare l’attività dell’associazione attraverso tre livelli operativi: istituzionale, sociale, e culturale.
A livello istituzionale il partenariato con la Regione, il Polo Museale della Basilicata, l’Agenzia di Promozione Territoriale di Basilicata, l’Università degli Studi della Basilicata, l’Ente Parco Archeologico Storico Naturale delle Chiese Rupestri del Materano, l’Agenzia Spaziale Italiana, la Soprintendenza per i Beni Storici, Artistici ed Etnoantropologici della Basilicata e il Comune di Matera rappresentano le connessioni più consolidate di una rete che si è implementata di volta in volta di ulteriori connessioni con numerosi comuni della regione, da Tito (PZ) a Guardia Peticara (PZ) fino alla più recente partnership con il comune di Genzano di Lucania (PZ), solo per ricordarne alcuni.Da ricordare, inoltre, la partnership con la Fondazione Matera-Basilicata 2019 che ha avuto come risultato la co-produzione di Suoni del Futuro Remoto, una produzione originale per Matera Capitale Europea della Cultura 2019.
La collaborazione continua e costante con associazioni e organizzazioni no profit presenti sul territorio e che si occupano di diversi aspetti della vita sociale e culturale della Regione costituisce un tratto distintivo dell’Onyx sin dalla sua nascita. A tal proposito si ricordano le collaborazioni dei primi anni con le associazioni Zétema, Mathesis, La Scaletta, Legambiente, il Girifalco, il Teatro dei Sassi, Non Solo Bianco, Tìaso e più di recente con l’associazione Lucania Jazz e il laboratorio di rigenerazione urbana LaBnera.
Il terzo livello della rete territoriale dell’Onyx è in qualche misura il risultato di un effetto indiretto del suo approccio alla musica e alla cultura, in generale. In questo senso il territorio e il paesaggio sono il soggetto principale dei progetti dell’associazione e la loro conoscenza, promozione e salvaguardia gli obiettivi primari. In questa direzione l’Onyx è diventato un vero e proprio cluster culturale con diversi settori che operano in sinergia con il settore musica che continua a esserne il centro gravitazionale: il settore ambiente, il settore libro (che è nodo anche della rete dei Presidi del Libro diffusa su tutto il territorio nazionale) e il settore fotografia. Tale struttura garantisce all’associazione la partecipazione a una rete più ampia e capillare di attivazione di processi di sviluppo del territorio a base culturale”.
Come sta cambiando secondo te il pubblico del jazz?
N.P.: “Niente sarà più come prima del Covid e anche il pubblico del jazz sarà diverso da un anno fa. Il silenzio, l’assenza e l’incertezza sono gli effetti collaterali della pandemia, anche sul mondo della musica jazz e dei suoi estimatori, soprattutto organizzativamente, come evidenziano le cronache e come risulta dal vasto contesto economico e culturale dei concerti musicali, di ogni genere. Certamente il pubblico del jazz ha insito nella sua natura il doversi e sapersi adattare al mondo che lo circonda, ma adesso il pubblico rileva che bisogna confrontarsi con questioni del tutto nuove e su alcuni aspetti poco chiari: il chiudere o ridurre il numero di spettatori in un teatro per motivi di sicurezza, stona completamente con aerei, treni e bus stipati. Il pubblico del jazz è, come tutti noi, in attesa e in un difficile equilibrio tra nostalgia e la voglia di nuovo, tra il voler stare insieme ed essere prudenti. Come il jazz, anche il suo pubblico si è allargato nelle sue caratteristiche in ogni senso, di sesso, di età e di gusti. È questo, secondo me, un atteggiamento nuovo da apprezzare, e poi supportare i musicisti che hanno aperto e ampliato il jazz a nuovi ascoltatori. E allora, per il futuro prossimo: nuovi pubblici per nuove musiche”.
Ci racconti un concerto indimenticabile, tra quelli che avete organizzato?
M.C.: “Sono infiniti i concerti indimenticabili, da Henry Texier a Tom Harrel, da Trilok Gurtu a Richard Galliano. Ne scelgo però uno lontano anni luce: il concerto di Steve Lacy con Franco D’Andrea al Matheola. Due geni visti da vicino in un’atmosfera da jazz club, incluso il rumore di piatti rotti a metà concerto.
Agli inizi del 2000 Steve Lacy è tornato per tre concerti in solo all’interno di chiese e chiostri nei Sassi (uno dei concerti è diventato anche il CD Materioso etichetta Onyx Jazz Club). In quell’occasione ho avuto l’opportunità di passare molto tempo con lui mentre curavo la logistica del Gezziamoci. Con timidezza gli chiesi di John Coltrane e lui mi raccontò aneddoti relativi agli ultimi mesi sofferenti della sua vita. Il dietro le quinte del Gezziamoci mi ha lasciato tanti bei ricordi. Contribuire a creare un evento e conoscere i musicisti ha avuto un valore formativo per me importante. Il valore di un’associazione culturale”.
Quali azioni dovremmo fare per portare più musicisti italiani nel mondo?
A.N.: Sicuramente maggiori collaborazioni tra istituzioni pubbliche e private che operano nel settore in paesi esteri; progetti di scambio (per esempio un programma Erasmus o Leonardo per musicisti); borse di studio e borse lavoro. Penso anche a delle collaborazioni con settori che si occupano di marketing estero per collegare brand Made in Italy con musica e musicisti e una maggiore partecipazione a progetti internazionali”.
Ci racconti un socio I-Jazz che ti piace per la sua programmazione?
K.G.: “Sono diverse le realtà all’interno di I-Jazz che ammiriamo per la loro programmazione e sarebbe difficile fare un solo nome. In generale presto grande attenzione ai festival in grado di offrire una programmazione eterogenea al proprio pubblico senza dimenticare gli artisti contemporanei, coloro che stanno rivoluzionando il jazz dei nostri anni. In fin dei conti credo che il jazz sia questo. Studio della tradizione e innovazione del futuro. Esempi possono essere Fano Jazz by the Sea oppure il Locus Festival”.
Ci segnali tre nomi interessanti nel panorama del giovane jazz italiano?
K.G.: “Solo tre? Fabio Giachino e Federica Michisanti per la bravura e le idee, i nostri H-Owl per la voglia di intraprendere nuove strade. A breve l’uscita del loro primo disco per etichetta Onyx”.
Una nuova idea progettuale su cui dovrebbe concentrarsi, a tuo avviso, I-Jazz?
R.L.: “La rete I-Jazz dopo il coordinamento dei vari festival e dopo l’istituzione della rete green potrebbe creare una rete di giovani formazioni che possano circolare in vari festival internazionali. La rete I-Jazz deve guardare all’Europa per promuovere i migliori progetti che nascono nelle realtà aderenti e i giovani gruppi in contesti internazionali per promuovere il buon jazz italiano.
Inoltre, essendoci all’interno di I-Jazz realtà piccole ma serie organizzazioni, giusto sarebbe contribuire a far conoscere queste situazioni migliorando il sistema interno di rete e lavorando su progetti che colleghino i territori attraverso i festival jazz”.
Se il Ministro Franceschini ti dicesse “posso esaudire un tuo desiderio”, cosa gli chiederesti?
M.C.: “A Franceschini direi di esentare le associazioni dal pagamento SIAE per i concerti di giovani jazzisti. Almeno fino ai 25 anni. Verrebbero chiamati più spesso a suonare e si farebbero le ossa”.