Pubblicato il 17/11/2020
E’ il Pozzuoli Jazz Festival, organizzato dall’A.P.S. Jazz and Conversation, il protagonista della rubrica settimana curata dal Presidente della I-Jazz, dedicata a tutti i soci dell’associazione, con l’obiettivo di dare voce a tutte le anime che le danno vita, dal Nord al Sud dell’Italia. Il festival campano è una realtà virtuosa che, con undici edizioni alle spalle, sa coniugare sapientemente la freschezza di una realtà ancora giovane con l’attenzione profonda al territorio in cui opera e lavora e quella alla scelta artistica, sempre contemporanea, attenta alle giovani generazioni e agli sguardi innovativi. Anche per loro questo 2020 è stato complicato e difficile, ma come ha raccontato, a Corrado Beldì nella sua intervista, il direttore artistico Antimo Civero, sempre vulcanico e energico, non è stata una stagione persa, ma una stagione di rinascita e riscoperta.
Iniziamo dalla ripartenza: Pozzuoli Jazz è ripartita con grande coraggio, ci racconti cosa avete fatto?
“Nel corso del periodo di chiusura si è pensato e riflettuto molto sulle nostre attività culturali. Dopo il 30 aprile con l’International Jazz Day seguito da migliaia di persone (con interventi artistici di tanti amici del festival on line) abbiamo ripreso i nostri incontri con il partner istituzionale: il Parco Archeologico dei Campi Flegrei . E’ grazie alla straordinaria azione del Parco archeologico dei Campi Flegrei, testimonianza stabile e acquisita dello spirito della nuova gestione dei beni culturali, che abbiamo avuto la possibilità di organizzare l’edizione estiva , la undicesima , della manifestazione PJF dei Campi Flegrei.
Proprio grazie a questa felicissima collaborazione, la manifestazione si è svolta in uno dei luoghi simbolo della città di Pozzuoli e di tutti i Campi Flegrei: l’Anfiteatro Flavio, l’Anfiteatro maggiore della città (in epoca romana Puteoli ne aveva due) che era chiuso alle manifestazioni musicali da ben 12 anni. Quindi una ulteriore piccola soddisfazione poiché abbiamo fatto da apri pista, contribuendo con la nostra azione, alla ripresa di ruolo centrale da parte di questa struttura monumentale nel panorama dei beni culturali del territorio flegreo.
È stato un momento molto bello, poiché molto sentito da parte di tanti amici del Festival… persone che ormai aspettano con grande emozione la manifestazione. E così abbiamo voluto manifestare la cultura anche se con un limite per ogni serata di soli 200 posti, ovviamente tutti esauriti”.
Cosa avete in programma nelle prossime settimane?
“All’orizzonte c’è l’edizione winter che giunge alla XII edizione. Chiaramente con le difficoltà dovute all’ emergenza covid 19, stiamo pensando di organizzare una rassegna on line che possa ancora una volta sottolineare quella che è sempre stata l’azione dell’associazione: la Musica quale occasione di conoscenza, promozione e valorizzazione del Patrimonio culturale di uno dei luoghi più straordinari al mondo. Stiamo studiando delle soluzioni in collaborazione degli Enti istituzionali locali. per avere un cenno di condivisione e, allo stesso tempo, dare una possibilità in più alle manifestazioni culturali e di spettacolo e ai relativi addetti e professionisti”.
Raccontaci qualcosa della storia del festival: quando e perché nasce Pozzuoli Jazz?
“In premessa direi che questa manifestazione conferma la presenza sul territorio di intelligenze vivaci (come richiedeva Pasolini), creative, segnale della diffusa esigenza di promuovere una cultura del risveglio dei sensi, una prova della vulcanicità di una terra che è viva, che continuamente crea e chiede di venire ad espressione. Il festival è organizzato dall’Associazione “Jazz and Conversation”. Nasce nel 2010 alla fine di un percorso, circa tre anni, in cui abbiamo organizzato una serie di concerti all’interno di una caffetteria “Al Blamangieri”, proponendo all’attenzione del pubblico molti gruppi emergenti, dando loro la possibilità di farsi conoscere ecc. Abbiamo realizzato più di 70 serate/concerto.
In realtà l’Associazione esisteva da molti anni e in ambito molto stretto si dedicava solo allo scambio di considerazioni, ascolto di nuovi dischi ecc… ma fu grazie alla sollecitazione che arrivò da Nicodemo Macrì, poi diventato anch’egli associato, che lavorava all’ufficio Cultura del Comune di Pozzuoli e che ci chiese espressamente, stuzzicandoci un po’, di fare “qualcosa” … e quel qualcosa diventarono i concerti nella caffetteria.
Un segno fu poi, sempre nello stesso periodo (luglio 2007), la prima assoluta in Italia del gruppo Steely Dan; l’associazione prende il nome da uno straordinario brano di Donald Fagen, “The Nightfly”. Ricordo che per l’occasione di quel concerto a Lucca registrai prima il nostro marchio e stampai delle magliette, una anche per lui. Non lo avevo mai fatto. Questo segna proprio l’inizio dell’attività pubblica e allargata dell’associazione”. Il festival nasce dopo una considerazione squisitamente sociale e politica: da un lato la passione per la musica e il jazz in particolare, dall’altra però la necessità di portare a conoscenza, promuovere un territorio “sbalorditivo”, come diceva Goethe, i Campi Flegrei; sbalorditivi ancora oggi per natura e storia, ricco di monumenti straordinari con evidenze archeologiche immense e uniche come quella della Città Sommersa, una città (in pratica una Pompei nel mare) che affiora a pochi metri nel golfo di Pozzuoli. Un territorio però, come si può intuire dal significato di “Campi Flegrei “ cioè campi ardenti, di fuoco vulcanico e tra i più pericolosi al mondo sotto l’aspetto sismico.
Sostanzialmente la nostra azione, attraverso il festival e non solo, resta un’azione civica, prima ancora che culturale, a difesa della cultura e della bellezza. Il Festival è itinerante e ha un’edizione estiva e una invernale. All’interno della manifestazione principale si inserisce anche il PJF CLUB che vede la partecipazione di tanti esercizi pubblici, un vero e proprio jazz rally, con tanti concerti in tante piccole e grandi realtà suggestive e sempre molto particolari. La manifestazione si regge esclusivamente sull’apporto di suoi associati, di imprese, di cittadini, di altre associazioni, enti ecc ecc. Per una scelta squisitamente politica, ma anche pratica, l’associazione non ha mai ricevuto soldi pubblici nella sua storia se non in alcune edizioni e in minima parte (5% del budget complessivo di spesa). Da un po’ di tempo però, con le difficoltà di reperire risorse dalle sponsorizzazioni di imprese ecc, abbiamo iniziato a presentare i nostri progetti anche agli enti preposti al finanziamento di attività culturali. E devo dire che l’esperienza in I-Jazz è stata ed è tuttora molto molto utile, in generale per molti aspetti rappresenta un momento di crescita importante per tanti di noi.
Qualche volta penso alle edizioni passate, ricordo quanto tempo e lavoro profuso, è stato uno sforzo di puro volontariato, attraverso un percorso in cui l’arte, e la musica in particolare, incontra il territorio, con la suggestione dei suoi paesaggi, della sua storia, delle sue contraddizioni. Mi piace ricordare alcuni carissimi amici che con me hanno condiviso questo percorso: Angelo Pesce, Gaetano Schiano, Daniele Alessi, Chiara Sirpettino a cui si sono aggiunti altri appassionati e straordinari professionisti come Maurizio Magnetta, Francesca Aleotti, Enza Sfarzo, Gennaro Ciunfrini, Nicodemo Macrì, Amilcare Lobina, Antonio Vanore, Lucio Festa, Ivana Gallo e tanti altri , tra cui – ed è una ulteriore soddisfazione – anche stranieri come Gemma Green, Petra, il nostro caro indimenticato Ib Thiel, danese, grande appassionato e organizzatore di manifestazioni, che ci ha lasciato troppo presto. Una vera ricchezza”.
Usate luoghi magici, quanto può servire il jazz per la promozione della bellezza?
“Direi tantissimo, soprattutto per un territorio di stupefacente bellezza ma che è ancora molto poco conosciuto. Come dicevo prima è proprio il nostro obiettivo nel grande solco dettato dall’art. 9 della nostra Costituzione Repubblicana, promuovere attraverso il jazz la straordinaria bellezza di questi luoghi: i Campi Flegrei.
L’azione dell’associazione si è distinta per la realizzazione e la condivisione di tante attività legate da un unico obiettivo comune, che si misura nel grande sforzo e nella capacità di coinvolgere tanti soggetti nell’esercizio di quello che abbiamo sempre definito “autodifesa politica, sociale e culturale”: insieme abbiamo seguito, attraverso il progettare, l’agire, l’incontrare, il confrontare, il puntualizzare ogni appuntamento col singolo per arrivare alla moltitudine attraverso vere e proprie manifestazioni, l’intento di volgere lo sguardo al “bello” che ci circonda unicamente per costruire “nuova bellezza”; ed è indicando il passo dopo i passi, lo sguardo oltre gli sguardi, i suoni nelle parole, che si arriva alla sensibilizzazione verso la nuova armonia, alla concretezza dell’ideale civico comune, perché, come qualcuno ha già ben sottolineato, “Costruire il bello è un gesto politico. Sempre”.
La Musica jazz come felice occasione d’incontro, per riscoprire e amare la nostra civiltà, il nostro Patrimonio. Il “bene culturale” – la cornice ambientale – diventa esso stesso protagonista musicale, strumento di conoscenza e di amore filiale verso il territorio sempre più conosciuto e apprezzato in tutto il mondo per i suoi richiami storici-geofisici-naturalisti-letterari e umani. Qui sta il nostro obiettivo tradotto dal binomio storia-musica. Il jazz è una musica che nel suo DNA, nell’improvvisazione, ha i canoni della bellezza con la sua capacità di generare emozioni, una musica molto particolare, che contamina e viene contaminata costantemente e che presenta, quindi, tanti registri evocativi che di sposano meravigliosamente con tanti luoghi e scenari naturali e storici del territorio”.
Ci racconti un vostro concerto indimenticabile?
“Uh! Sono tanti davvero… Ma dovendo indicarne uno, posso ricordare, anche con grande nostalgia, uno dei concerti realizzati nel Vulcano Solfatara. Uno scenario incredibile, proprio nel cratere, una cosa unica e irripetibile purtroppo, poichè, qualche anno dopo, il Vulcano è stato teatro di una tragedia dolorosissima ed è tutt’ora chiuso.
Nell’edizione 2014, a pochi giorni dall’inizio del Festival, mi arrivò una telefonata da parte di Larry Clothier, il grande manager di Roy Hargrove e Roberta Gambarini, che avevamo avuto con noi anche nelle edizioni precedenti del festival. Larry mi annunciava la possibilità di essere nostro ospite per supportare il nostro Festival e che avrebbero suonato per il nostro pubblico gratuitamente. Un gesto che mi lasciò davvero senza parole, testimonianza di grande apertura e amicizia, direi molto rara soprattutto per i musicisti statunitensi.
Fu in realtà un doppio concerto, poiché lì, al centro, nel cratere, nel vulcano, si esibirono per ben due ore, separatamente, sia Roberta Gambarini che Roy Hargrove con il suo quintetto. Una serata indimenticabile e, tra il pubblico, ben otto persone che arrivarono dall’estero, al seguito di Roy e Roberta, erano statunitensi con cui ho stretto anche una solida amicizia.
Fu meraviglioso e ricordare Roy mi emoziona particolarmente, uno straordinario talento e generosissimo uomo. Fu un momento bellissimo, significativo e i musicisti di una eleganza esemplare”.
Ci racconti una grande soddisfazione di questi anni?
“Direi due se posso permettermi. La prima è quello di aver realizzato e portato avanti senza contributi pubblici, solo per fini culturali e senza scopo di lucro, la manifestazione per tutti questi anni, almeno dieci. Un compito davvero arduo, credo forse unico in Italia. E poi il Patrocinio della Città di Assisi, un sentito riconoscimento per tutta l’associazione, che è culminato con un concerto organizzato tre anni fa a dicembre in quella città. Tutto questo anche grazie al costante apporto del nostro concittadino, il M° Raffaele Ariante che vive ad Assisi e che è l’autore del manufatto artistico “La Bomba della Pace di Amore, Passione e Colore” che ogni anno il Festival consegna a tutti i musicisti, condividendo il messaggio di Pace che arriva da quella città e facendo diventare tutti loro messaggeri di Pace”.
C’è una immagine a cui sei molto legato?
“Sì, direi tante. Al momento mi viene in mente un foglietto o meglio la “tovaglietta” di quella caffetteria dove organizzavamo quelle serate, seduti intorno ad un tavolino e, come abitualmente faccio, presi appunti, disegnavo e fantasticavo sulla prima edizione del festival. Ecco quel foglietto lo conservo ancora tra le voluminose, ormai, carte dell’associazione. Inoltre, posso aggiungere i 150 dollari, orgogliosamente raccolti in un quadretto e appesi al muro nel mio ufficio, che mi furono donati il giorno dopo il concerto al Vulcano Solfatara, che ho citato prima, da alcuni cittadini statunitensi per incoraggiarmi nelle cose che stavo facendo. Sono ancora lì alla parete”.
C’è un socio della I-Jazz che ti piace per la sua programmazione?
“Sono davvero tutte molto interessanti e gli associati sono bravissimi in questo. Lo dico davvero. Sono tra l’altro anche un esempio molto felice da seguire per noi. Quello che mi colpisce è sempre l’elevata competenza, profondità e amore che traspare nelle cose che organizzano. Non riesco davvero a sceglierne uno. Una riflessione che mi viene ora e che è direttamente collegata all’esperienza dell’Aquila, dove insieme ci ritroviamo per le “Terre del sisma”, è questa: l’insieme è meraviglioso, questa eterogeneità e bellezza che traspare e che, però, riflette sempre una costante, e cioè il territorio, la sua bellezza, la sua storia. Questo mi inorgoglisce in quanto italiano, questo paese è davvero straordinario e unico al mondo, un Patrimonio di cui tutti siamo custodi”.
Ci segnali tre nomi interessanti nel panorama del giovane jazz italiano?
“Sì, anche qui tanti giovani tutti bravissimi, tra quelli che posso dire di conoscere e che trovo molto interessanti: Emilia Zamuner, Carmine Joanna, Filippo Vignato, Michelangelo Scandroglio, Matteo Bortone e ce ne sono tanti altri…”.
Quali azioni dovremmo dare per portare più musicisti italiani nel mondo?
“Lavorare, lavorare, lavorare! A parte gli scherzi, si potrebbero, per esempio, da un lato incentivare, promuovere e finanziare i piccoli festival, le realtà un po’ più lontane dai riflettori, che hanno capacità organizzative ma che non hanno fondi e dall’altro, ancor di più, portare avanti scambi e relazioni con le tante altre realtà europee ma con un supporto, con interventi da parte degli Enti istituzionali preposti ai diversi livelli. Un po’ come accade negli altri paesi (negli USA per esempio).
Secondo me, e questo lo abbiamo visto con questa pandemia, c’è da lavorare su questo aspetto: far emergere chiaro, e con il peso che a volte non si percepisce, quello che è il lavoro nella musica. Di quanto sia importante sostenere un comparto così fondamentale sotto molti aspetti per tutti”.
Una nuova idea progettuale su cui dovrebbe concentrarsi I-Jazz?
“Credo che un’idea di sicuro valore sia quella di guardare e concentrarsi sui giovani e le realtà locali. Inoltre, anche la conoscenza, in senso generale, va sempre più allargata e condivisa. Penso, per esempio, ad una specie di raccolta, banca dati, a quello che si chiama il “cassetto degli attrezzi” da condividere sempre più tra gli associati. E anche questa serie di interviste ai direttori artistici, poi pubblicate in rete, gli approfondimenti di argomenti con riunioni in rete che stiamo portando avanti, sono, secondo me, strumenti molto utili per conoscerci meglio e consolidare intenti, rapporti e azioni comuni”.
Se il Ministro Franceschini ti dicesse: “posso esaudire un tuo desiderio”, cosa gli chiederesti?
“Mi viene in mente questo: gli direi di continuare il lavoro con più forza, migliorare l’azione e la comunicazione sulla promozione e la conoscenza, la tutela e la gestione del Patrimonio culturale e artistico del nostro “Bel paese”, un’azione che qui in Campania, negli ultimi anni, si è vista molto nitidamente se pensiamo agli interventi su Caserta, Pompei, Paestum, Museo di Capodimonte e infine nel Campi Flegrei, con l’istituzione del Parco archeologico dei Campi Flegrei, dove si è dato finalmente peso al dettato costituzionale dell’art. 9, che, ricordo, è tra i 12 Principi Fondamentali della Costituzione, per far sì – e qui cito a memoria l’intervento dell’indimenticabile Presidente della Repubblica Carlo Azeglio Ciampi – che la tutela di questo enorme Patrimonio, che è il nostro vero segno identitario, di tutti noi italiani, debba deve essere concepita non in senso di passiva protezione, ma in senso attivo, e cioè in funzione della cultura dei cittadini, e deve essere fruibile da tutti. La cultura e il patrimonio artistico devono essere gestiti bene perché siano effettivamente a disposizione di tutti, oggi e domani per tutte le generazioni.
Ed è questo anche il binario che percorriamo attraverso la nostra associazione, corpo “intermedio” che si inserisce, in quanto terzo settore, mediano direi, tra il primo cioè lo Stato e il secondo, il Mercato, poiché l’art. 9 della Costituzione è rivolto a tutti i cittadini italiani”.