Pubblicato il 24/03/2021
Musicista, compositore, direttore d’orchestra, docente al Conservatorio di Pescara, Angelo Valori ha fatto del lavoro d’insieme un valore aggiunto importante che è riuscito a portare anche nell’Associazione I-Jazz, di cui è vicepresidente dal 2018. Corrado Beldì lo ha intervistato in occasione del suo passaggio da presidente dell’Ente Manifestazioni Pescaresi a direttore artistico dello stesso Pescara Jazz Festival, un passaggio che crea continuità e che punta a elevare la qualità artistica di una delle rassegne più storiche d’Italia.
Partiamo da Pescara Jazz Festival dalla storia gloriosa. Cosa ha significato per te da abruzzese assumere questo incarico?
“Un grande onore e un grande onere raccogliere l’eredità di Lucio Fumo, per oltre 40 anni direttore artistico del festival. Pescara Jazz è il padre dei festival jazz estivi italiani, avendo iniziato la sua attività nel 1969 e avendo ospitato tutti i più grandi musicisti della storia di questo genere musicale, da Duke Ellington a Miles Davis passando per Ella Fitzgerald, Sara Vaughan, Keith Jarrett, Herbie Hancock, Chick Corea, Pat Metheny; la lista è infinita. In queste occasioni bisogna impegnarsi al massimo per non tradire una grande tradizione, pur portando la propria concezione di un festival aperto ai diversi generi contemporanei, alle innovazioni del linguaggio e della tecnologia”.
Ci racconti la tua esperienza all’Ente Manifestazioni Pescaresi, presidente e risanatore, come è stata l’esperienza istituzionale?
“Molto complessa, soprattutto il primo anno nel 2017. La situazione ereditata era molto pesante e non è stato facile affrontarla. Grazie all’aiuto del Consiglio di Amministrazione e del Collegio dei Revisori dei conti, lascio una situazione migliore di come l’ho trovata”.
Ora lasci per occuparti della direzione artistica, e quali saranno le line estetiche del tuo programma?
“Come dicevo, puntare tutto sulla contemporaneità della ricerca musicale e della tecnologia. Molti vedono la ricerca musicale come un cammino rivolto univocamente verso il più complesso; io la vedo – dopo decenni di complessità – come semplificazione e ricerca di un nuovo contatto con il pubblico. Vedo la musica contemporanea come unitaria e credo molto nel pop come forma di cultura che ha cambiato, insieme al jazz, non solo il linguaggio musicale, ma anche gli usi e i costumi sociali, oltre che il linguaggio in generale.
Credo che il jazz debba essere l’alfiere’ della ricerca nei nuovi linguaggi musicali e debba riscoprire la sua capacità di contenere e interagire con ‘l’altro’, senza rinunciare alla comunicazione con il pubblico. Inoltre, credo molto nel recupero della forma canzone e della vocalità, tanto da aver creato una sezione del festival chiamata Pescara Jazz & Songs”.
A questo proposito ci segnali tre nomi interessanti nel panorama del giovane jazz italiano?
“Sono moltissimi e non è facile, quindi farò il nome di tre abruzzesi, sapendo già di tralasciare qualcuno di altrettanto importante: il chitarrista Christian Mascetta, il batterista Michele Santoleri, il pianista Giulio Gentile. Ma mi mordo le mani, perché solo in Abruzzo ce ne sono davvero molti altri”.
Molto importante è il tuo impegno per la manifestazione aquilana, ci racconti questa evoluzione ?
“Sono stato molto fortunato a ricevere da I-Jazz l’incarico di coordinare l’organizzazione di una manifestazione così importante, densa di valori simbolici e identitari, sia musicali che sociali. Lo scorso anno è stato davvero complesso misurarsi con le prescrizioni anti-Covid, la ritengo una delle prove più complesse della mia carriera. Tutto è andato molto bene e siamo riusciti a organizzare una manifestazione nel momento più difficile e nel momento in cui c’era maggiore bisogno di aggregazione e socialità. Sono molto orgoglioso di questo incarico e grato alla grande squadra di I-Jazz, uomini e donne straordinari che mi hanno supportato in tutto; molto felice di aver contribuito a una manifestazione che ho amato innanzitutto come spettatore, con grande ammirazione verso la concezione impressa da Paolo Fresu e Ada Montellanico, insieme a Gianni Pini e te”.
Il tuo percorso di musicista parte dalla musica contemporanea e poi si avvicina alla musica popolare contemporanea. Ci racconti i motivi di questa evoluzione?
“I motivi li ho anticipati prima: credo molto nella ricerca nei nuovi linguaggi musicali e a vent’anni ho cominciato, vista la mia formazione classica, amando Boulez, Stockausen, Cage e studiando con Aldo Clementi e Franco Donatoni. Ero sin troppo rigoroso e unilaterale nel rispetto dell’ortodossia musicale! Poi ho scoperto che avevo bisogno di altro, di maggiore comunicazione, di musica che spettinasse i capelli e che rappresentasse meglio la mia emotività.
L’avvicinamento al pop è avvenuto, oltre che per le mie passioni adolescenziali, per aver costruito la prima Scuola di Pop/Rock nei Conservatori italiani, la prima sperimentale e poi la prima a essere riconosciuta dal Ministero. Al Conservatorio di Pescara ho attivato anche la prima Scuola di composizione pop, cosa che mi ha portato a collaborare successivamente con Mogol e il CET.
Come dice Brecht, a volte bisogna sedersi dalla parte del torto, visto che tutti gli altri posti sono occupati. Io ho deciso di sedermi su posti che nessuno voleva occupare negli ambienti accademici, perché erroneamente ritenuti poveri, semplici, di basso livello”.
Il tuo progetto di ensemble vocale si è molto sviluppato negli ultimi anni, che programmi avete per i prossimi 12 mesi?
“Il percorso dei Medit Voices, prima Contemporary Vocal Ensemble, è iniziato come progetto di ricerca e produzione del Conservatorio di Pescara e poi è esploso in un’attività di circa ottanta concerti in sei anni di attività. E’ un gruppo che ha un grande successo di pubblico perché presenta hit molto popolari in una veste inedita e raffinata. Spero di potermi dedicare più di quanto ho fatto in passato e di farne conoscere le potenzialità. Intanto ci divertiamo molto, che non è male”.
Passiamo alla realtà associativa, sei vicepresidente di I-Jazz, come vedi l’azione della associazione in questi ultimi anni?
“Ero un grande fan dell’associazione prima di entrare a farne parte, adesso ho un’esperienza triennale che valuto positivamente. Ho visto cambiare due presidenti, alternarsi diversi consigli direttivi, con circa venti persone che sono entrate nell’organo amministrativo, di cui molti soci non fondatori. In quest’ultimo abbiamo la presenza di tre donne, troppo poche ma potremo migliorare. Insomma, vedo una grande partecipazione alla vita associativa testimoniata dai numeri più che dalle opinioni. Ho una grande ammirazione per la passione che i nostri soci mettono nell’organizzare piccoli, medi e grandi festival sparsi su tutto il territorio nazionale, soprattutto in momenti come quelli che stiamo vivendo. Una comunità della quale sono orgoglioso di fare parte”.
Come credi si possa stimolare una maggiore presenza del jazz in Italia?
“Attraverso una costante azione formativa nelle scuole di ogni ordine e grado, tesa a creare un nuovo pubblico. In questo senso, se il mondo del jazz e i meravigliosi musicisti jazz smettessero di considerarsi la musica e i musicisti migliori e si buttassero nella mischia, non per testimoniare superiorità ma per cercare condivisione, farebbero un grande favore a se stessi, a noi e alla musica in generale”.
Una nuova idea progettuale su cui dovrebbe concentrarsi I-Jazz?
“Credo che il futuro di I-Jazz debba concentrarsi sull’export della musica italiana all’estero, ampliando l’esperienza di Nuova Generazione Jazz. La musica Jazz italiana è di grande livello e merita di essere maggiormente diffusa in Europa e nel mondo.
Avrebbe bisogno di quel supporto di cui godono i musicisti degli altri paesi europei: non giochiamo una partita ad armi pari, gli organizzatori e i musicisti degli altri paesi hanno un supporto considerevolmente superiore e la partita non è facile. Sono fiducioso perché i tempi stanno cambiando; anche il nostro Paese sta accettando la sfida sul contemporaneo che ci vede molto indietro rispetto a altre realtà”.
Ci racconti un socio I-Jazz che ti piace per la sua programmazione?
“Le esperienze che ispirano sono tante, dai direttori artistici come Paolo Damiani, Ignazio Garcia, Roberto Ottaviano, Enrico Intra e Luciano Linzi, ai grandi festival come Bergamo, Torino, Milano, Udine, Berchidda, Musica sulle Bocche. Con Fano abbiamo spesso collaborato, il Jazz Network in Toscana è un grande modello (e per Siena Jazz ho una grande venerazione). Se proprio mi vuoi estorcere un nome, ti dirò che ho una forte empatia per Empoli Jazz e per gli amici che lo animano. Ma, come ho detto prima, sono innamorato soprattutto della diversità che i nostri soci riescono ad esprimere nelle loro attività”.
Se il Ministro ti dicesse: “posso esaudire un tuo desiderio”, cosa gli chiederesti?
“In maniera molto laconica e poco idealistica, chiederei un pacco di soldi per fare un grande festival e grandi produzioni che valorizzino il nostro Paese nel settore contemporaneo. Meglio, punterei più in alto, chiedendo di farmi decidere a chi dare un pacco di soldi per fare grandi attività nei linguaggi contemporanei. Mah, è bello sognare…”.
Ph: Giada Di Blasio