Pubblicato il 24/11/2020
Durante l’estate appena passata, nei giorni de Il jazz italiano per le terre del sisma, ha vinto il Premio Nuove Direzioni, istituito dalla Federazione Nazionale “Il Jazz Italiano” per premiare la programmazione innovativa e il legame con il territorio che ha da sempre caratterizzato Sile Jazz, il festival che dirige; è musicista, apprezzato e stimato sia in Italia che all’estero, e consigliere di MIdJ (l’associazione dei musicisti italiani di jazz); insieme a Nicola Fazzini ha fondato l’associazione nusica.org (dieci anni nel 2021) che ad oggi rappresenta in Italia un valido esempio di una realtà dinamica, che si muove a 360° nella promozione e nella valorizzazione del jazz in Italia e non solo, grazie al lavoro su più livelli tra produzioni discografiche, organizzazione di tour, didattica e le due rassegne Sile Jazz e Jazz Area Metropolitana.
Parliamo di Alessandro Fedrigo, protagonista della rubrica curata da Corrado Beldì, presidente di I-Jazz, per dare voce ai soci dell’associazione e spazio alle loro storie.
Partiamo dalla ripartenza di questa estate: a Sile Jazz siete partiti con grande coraggio, come è andata?
“Già durante il periodo del lockdown più intenso avevo sentito tutti i miei partner e sono partito da questo frase: Se le persone non potranno uscire di casa porteremo la musica sotto le loro finestre. Sile Jazz è una rete di 13 Comuni di piccole/medie dimensioni, per questo a giugno appena ricevuto il decreto che dava le indicazioni per i concerti (5 giugno) ho fatto una videoconferenza con gli Assessori alla Cultura che hanno aderito con grande entusiasmo, coesione e coraggio. Il primo concerto è stato il 20 giugno, per cui con un lavoro abbastanza “pazzesco” ma grazie ad uno staff davvero motivato abbiamo iniziato la rassegna”.
Raccontaci qualcosa della storia del festival: quando e perché nascono le attività di nusica.org?
“Una mattina di circa dodici anni fa mi capitò tra le mani una rivista della Suisa (la Siae svizzera) dove trovai un articolo che parlava della crisi delle etichette discografiche tradizionali e immaginava una etichetta futuribile che avrebbe dovuto fare Musica a 360°, mi si accese una lampadina. L’etichetta doveva fornire servizi ai musicisti: aiutarli nella comunicazione, nella promozione del loro lavoro, fare da agenzia di booking, organizzare festival, fare da consulente amministrativo, insomma aiutarli concretamente in differenti aspetti del loro lavoro. Ecco ciò che cercavo, visto che non c’era, tanto valeva provare a farsela”.
Come ti dividi i compiti e le scelte con il tuo socio e collega Nicola Fazzini?
“Da subito ho condiviso le mie idee con Nicola che conosco da quando eravamo ragazzi e che stimo sia come musicista e compositore che come testa pensante, come uomo e artista di visione. In sostanza condividiamo il lavoro in maniera totale, poi ognuno di noi ha le sue attitudini e le sue specifiche peculiarità, per quanto riguarda le rassegne di concerti io curo Sile Jazz e lui Jazz Area Metropolitana, per quello che concerne il lavoro musicale suoniamo assieme in XYQuartet (che è il nostro progetto principale), in Hyper Plus e Itaca 4et. Ognuno di noi ha un progetto solista, per la didattica lui collabora con l’Università di Venezia, io con quella di Padova. Lavorando in modo molto intenso e stimolandoci a vicenda abbiamo portato nusica.org dove da soli non saremmo mai riusciti”.
Raccontaci qualcosa di più sul vostro staff e sui vostri sostenitori
“Abbiamo una responsabile per la parte amministrativa e organizzativa (Silvia Ciccarello) che ha iniziato con uno stage universitario con noi e ora ricopre incarichi sempre più impegnativi, poi per la parte comunicazione sui social media c’è Bianca Baumberger (anche lei ha iniziato a collaborare con uno stage universitario), poi c’è Chiara Vedovetto che cura l’ufficio stampa, un responsabile per la digitalizzazione dell’etichetta (Marco Convertino) e numerosi amici/collaboratori/volontari che attiviamo sui festival. Il nostri sostenitori sono appassionati di musica/arte/cultura che vivono nel nostro territorio (tra Treviso e Venezia) o che abitano in “altri territori” e apprezzano il nostro lavoro di musicisti e che incontriamo quando siamo in tour o ci apprezzano sul web”.
Come sta cambiando il vostro pubblico? Quali azioni per il futuro?
“Cerchiamo di espanderlo sempre più, i festival si sono ampliati negli anni coinvolgendo sempre più partner e hanno raggiunto una visibilità sempre maggiore in Italia. Come musicisti negli ultimi anni abbiamo puntato molto all’estero, in Europa ma non solo. Come organizzatori sicuramente desideriamo coinvolgere sempre più fasce giovani di popolazione, non è semplice. L’attenzione al territorio e all’ambiente è un altro elemento importante, anche in questo campo vogliamo impegnarci sempre più per sensibilizzare il nostro pubblico su valori che per noi sono fondanti: cultura, creatività, ambiente, ecologia”.
Ci racconti un vostro concerto indimenticabile?
“Quest’anno abbiamo organizzato come concerto speciale il trio di Kurt Rosenwinkel e ne sono successe di tutti i colori: al primo tentativo il nostro eroe non è riuscito a prendere l’aereo a causa di una indisposizione e all’ultimo non è partito (concerto sold out, restituzione dei biglietti) poi, fissato il recupero, abbiamo dovuto spostarlo a causa di un malinteso tra i musicisti, infine il giorno fatidico si sono persi all’aeroporto la valigia con tutti gli effetti (essenziale per il concerto) e si è rotto il basso elettrico del bassista. Alla sera grande successo, concerto perfetto, tutti felici”.
Una grande soddisfazione e un grande rimpianto di questi anni?
“Una soddisfazione è vedere che XYQuartet, dopo dieci anni di attività e quattro cd, continua il suo percorso suonando in Italia e all’Estero (siamo in partenza per Polonia, Estonia, Finlandia, Lituania, Germania e Austria). Un ricordo bello è quello di quando suonammo al Teatro Morlacchi di Orvieto per Umbria Jazz Winter, dopo essere stati premiati come secondo miglior gruppo italiano di jazz da Musica Jazz, era il 1 gennaio del 2015. Un rimpianto è quello di aver incontrato dei collaboratori validi nella vita di nusica.org e non essere riusciti a tenerli con noi, perché le risorse erano troppo poche o perché in quel momento non potevamo permettercelo”.
Ci descrivi una immagine a cui sei molto legato?
“Questa estate all’Aquila mi è stato dato il premio per la migliore direzione artistica. La foto con Nicola Fazzini, Bianca Baumberger e Silvia Ciccarello è un’immagine recente che rappresenta un percorso importante che abbiamo fatto assieme e che testimonia, spero, come il lavoro fatto sia stato compreso”.
Rispetto al tuo percorso da musicista, ci racconti i tuoi prossimi progetti musicali?
“Il nuovo cd di XYQuartet che incontra un quartetto di giovani percussionisti classici, un esperimento molto interessante per noi, sia sul piano ritmico che sul piano del timbro e dell’organizzazione del materiale, dell’orchestrazione. Il cd sarà allegato a JazzIt e lo presenteremo al Vicenza Jazz Festival. Poi ho vinto un bando per realizzare una performance multimediale in solo per basso elettrico, elettronica e visuals. Ad aprile faremo (Covid permettendo) un tour con Itaca 4et per presentare in Europa il cd che abbiamo realizzato l’anno scorso a Vancouver con Francois Houle e Nick Fraser, due fantastici improvvisatori canadesi”.
Tornando a SileJazz, cosa significa per te fare il direttore artistico di un festival?
“E’ un impegno importante che ho deciso di prendere nei confronti di un territorio che per me non è mai stato un luogo fertile culturalmente e dove non mi sono mai sentito compreso per la mia attività artistica, ad un certo punto ho compreso che se volevo che le cose cambiassero avrei dovuto “rimboccarmi le maniche” e attivarmi. Quest’anno il festival aveva come titolo Suoni Vicini perché volevo fosse chiara l’idea di avvicinare le persone attraverso i suoni e perché ho dedicato la rassegna agli artisti più interessanti del nostro territorio”.
Hai già qualche idea per la direzione artistica (con Paolo Damiani e Rita Marcotulli) di L’Aquila 2021?
“Con Rita e Paolo avremo a breve un incontro e ci sono delle idee che stiamo sviluppando; quest’anno a L’Aquila sono stato e ho preso appunti, è stata a mio modo di vedere una edizione molto bella che testimonia lo stato di salute del jazz italiano e sottolinea il fatto che questo appuntamento possa e debba diventare sempre più un momento di aggregazione importante per il nostro mondo, questo è l’auspicio che faccio e la direzione sulla quale vorrei lavorare”.
Ci racconti un socio I-Jazz che ti piace per la sua programmazione?
“Ci sono molte rassegne che ammiro, per il coraggio, per l’organicità e per la capacità di portare innovazione e progettualità sui territori. Cito alcun esempi virtuosi che secondo me sono Time in Jazz a Berchidda, Novara Jazz e Jazz & Wine of Peace a Cormons, ma quest’anno mi ha molto colpito il lavoro fatto da Adriano Pedini a Fano col festival Fano Jazz by the Sea che ha davvero interpretato il territorio, i luoghi e le situazioni in modo interessante, con grande attenzione all’ambiente e con una comunicazione molto efficace”.
Ci segnali tre nomi interessanti nel panorama del giovane jazz italiano?
“Tra i gruppi che mi hanno colpito recentemente ci sono il quartetto di Frank Martino, per il rapporto tra composizione e improvvisazione e per l’interesse per il suono, il quintetto di Mirko Pedrotti, bravissimo vibrafonista trentino a capo di una band affiatata con uno stile compositivo organico ed efficace e il progetto di Sara Jane Ceccarelli che dal vivo mi ha colpito per le atmosfere che riesce a comunicare, tre musicisti giovani, assai diversi tra loro che hanno già una notevole maturità e una cifra stilistica ben delineata.
Quali azioni dovremmo fare, secondo te, per portare più musicisti italiani nel mondo?
“In molti paesi del mondo ci sono organizzazioni strutturate che aiutano i musicisti a promuoversi e a viaggiare. I musicisti italiani non sono concorrenziali economicamente e sono sostenuti in modo molto marginale. La soluzione potrebbe essere un export office: uno sportello che veicoli opportunità, informazioni, sostenga gli spostamenti, promuova il movimento jazzistico italiano, porti i musicisti negli showcase più importanti e faccia corsi di formazione”.
Una nuova idea progettuale su cui dovrebbe concentrarsi I-Jazz?
“La cosa importante credo sia quella di pensare in termini competitivi: noi tutti (musicisti, organizzatori, discografici, fotografi, agenti) abbiamo interessi che sono collegati ma siamo anche in competizione tra noi, se troviamo un accordo e un modo di procedere possiamo migliorare le condizioni di lavoro e creare maggiori opportunità per tutti. In questo senso l’attività della Federazione può essere un luogo prezioso di confronto tra le parti. I-Jazz è sicuramente l’associazione più strutturata e con maggiore esperienza, credo che il suo ruolo sarà centrale nella evoluzione del mondo del jazz italiano.”
Se il Ministro Franceschini ti dicesse “posso esaudire un tuo desiderio”, cosa gli chiederesti?
“In Italia, anche a livello ministeriale, c’è una rinnovata attenzione per il jazz che però conta ancora molto poco in termini di contributi del FUS, sicuramente un sostegno sempre maggiore per il nostro settore che si rivela sempre più eccellenza nella progettualità e nella innovatività è da auspicarsi. Poi io ritengo che una parte del contributo ministeriale vada vincolato e dovrebbe essere investito nel sostenere la creatività dei musicisti italiani”.