Pubblicato il 13/10/2020
Nuovo appuntamento con i soci della Associazione I-Jazz intervistati direttamente dal presidente, Corrado Beldì. Una lunga serie di storie, di incontri, di sguardi, di memorie e di progetti futuri che ci accompagneranno alla scoperta di una parte fondamentale del jazz italiano. Il protagonista di oggi è il direttore artistico di Moncalieri Jazz, Ugo Viola, fisarmonicista poliedrico e virtuoso.
Ugo, ci racconti il programma di Moncalieri Jazz per quest’anno?
“Nonostante le difficoltà avremo un programma molto intenso, a partire dal 31 ottobre, la ormai famosa Notte Nera del jazz che quest’anno diventa Jazz a Corte, con 10 cortili pubblici o privati della città; in ciascuno ospiteremo tre gruppi in modo da massimizzare il numero dei concerti in totale sicurezza. Avremo poi come al solito due settimane di progetti legati al sociale con anziani, disabili, tossicodipendenti, malati psichici, le lezioni concerto nelle scuole e porteremo ovviamente anche la musica nelle borgate”.
Quali saranno le serate clou?
“Dal 13 al 15 novembre: il centenario di Charlie Parker con un quartetto speciale guidato da Claudio Chiara, l’omaggio a Renato Carosone con un bellissimo progetto di Daniele Sepe e poi quello a Federico Fellini, una grande produzione che vedrà impegnati 10 musicisti tra i quali il famoso quartetto d’archi di Torino con cui, per la prima volta in 23 anni di festival, suonerò anch’io. I brani in programma saranno arrangiati e diretti da Andrea Ravizza con la voce straordinaria di Albert Hera. Tra l’altro in quella serata ci saranno anche le illustrazioni realizzate dal vivo da Giorgia Molinari”.
Come nasce Moncalieri Jazz?
“E’ nato nel 1998 da un’idea mia, di mio fratello Marco e Valerio Signetto, un’idea promossa e sorretta anche da Tony Lama che ci ha spinti a sviluppare il progetto negli anni successivi. Da tre giorni iniziali ormai siamo arrivati ad una manifestazione molto variegata, con 15 giorni consecutivi di concerti e di progetti speciali, tra l’altro in un periodo dell’anno in cui non ci sono molti altri festival, come novembre, il mese della nebbia e del freddo ed è diventata la nostra caratteristica”.
Ci racconti un progetto di cui vai veramente orgoglioso e che caratterizza la storia del festival?
“Non è facile scegliere, da sempre lavoriamo su progetti originali, nuove produzioni, spesso sui centenari, abbiamo lavorato su Gillespie, Trovajoli, Monk e la Fitzgerald. Abbiamo fatto un progetto fantastico sul centenario di Nelson Mandela, i soli in Italia, in collaborazione con la fondazione sudafricana. Poi c’è la nostra Notte Nera del jazz, una iniziativa unica, molto diversa dalle classiche notti bianche, in cui il jazz e la musica in generale sono centrali ed essenziali”.
Chi è il tuo grande eroe nella storia del jazz?
“Innanzitutto devo confessarti che non sono un jazzista, forse per questo da sempre studio questa musica con grande passione. Abbiamo fatto negli anni cose pazzesche, penso all’Orchestra di Count Basie e poi il memorabile concerto di Archie Shepp. Credo che un eroe sia soprattutto chi nella vita ha costruito piano piano la propria fama attraverso i fatti di una esistenza dedicata alla musica. In questo devo dirti che Dave Brubeck per me è stato un grande esempio”.
C’è una foto, una immagine di Moncalieri Jazz a cui sei particolarmente legato?
“C’è una foto bellissima che ritrae un momento unico: quando portammo mia nonna sul palco per il suo compleanno, compiva 100 anni, davanti a 2000 persone. Quel giorno le abbiamo regalto un piccolo grande sogno”.
Hai un forte legame con la comunità in cui vivi ed operi, forse dipende anche dalla tua scuola di musica. Ci racconti qualcosa di più su questa realtà?
“Ho aperto la scuola dopo 10 anni di insegnamento nel pubblico, è un’esperienza bellissima, anche se è molto difficile soprattutto in questi momenti dopo la pandemia in cui non è facile far capire quanto la musica sia strumento di bellezza, a prescindere dai costi e dalla sua complessità. Dobbiamo tornare all’idea di scuola di musica come fatto culturale, dobbiamo tornare a capire il senso di chi, dopo quarant’anni, mi incrocia per strada e mi ringrazia ancora per quello che ha imparato attraverso lo studio della musica. Sono i momenti in cui capisci che hai lasciato un messaggio importante”.
Ci parli invece di un’esperienza della tua carriera di fisarmonicista che ti ha segnato?
“La vita è fatta di treni, molti li prendi, altri li vedi passare. Nel giugno del 1998 partecipai ad una selezione per collaborare all’evento Pavarotti & Friends. Fu magnifico, il Maestro Luciano Pavarotti chiedeva in continuazione all’orchestra di abbassare il volume perché si sentisse meglio la mia fisarmonica; ad un certo punto si avvicinò, mi mise una mano sulla spalla e disse che aveva scelto me. Non lo dimenticherò mai”.
Mi pare tu abbia avuto anche una partecipazione radiofonica
“Sì, ricordi bene, sono stato all’ultima puntata in assoluto della Corrida condotta da Corrado, tra l’altro vincendo. Allora avevo diciott’anni e non avrei mai pensato di andare a Firenze e di tornare vincitore. Purtroppo si è trattato solo di una trasmissione radiofonica, oggi custodita negli archivi della RAI”.
Quali tra i festival italiani nostri soci ti piace particolarmente per la programmazione?
“Sono tanti e non vorrei escludere nessuno, il bello dell’Italia è che è un paese dove si fanno grandissimi festival, tutti con caratteristiche diverse, con una programmazione molto varia, questo rende il sistema dei nostri festival molto interessante”.
Cosa pensi de “Il jazz italiano per le terre del sisma” e delle giornate che ogni anno ci portano all’Aquila?
“Ho sposato la manifestazione dal 2015, dalla prima edizione, ho capito fin dall’inizio che ha un aspetto vincente perché riesce ad unire tutte le categorie, festival, jazz club, musicisti, formatori, fotografi, etichette. Questa è una capacità che ho trovato solo nel jazz, nella classica sarebbe impossibile, forse dipende dal fatto che questa musica ha proprio nell’unione tra ingredienti diversi la sua caratteristica. Si viene all’Aquila per stare insieme, è bellissimo vedere ogni volta le facce sorridenti di musicisti e organizzatori; è una occasione unica per ritrovarsi e per trovare finalmente un momento comune”.
Se potessi esprimere un desiderio al Ministro Franceschini, cosa gli chiederesti?
“Ovviamente di rinnovare ogni anno i fondi extra FUS! A parte questo, credo che servano molte più risorse al jazz ma anche risorse alla scuola, più risorse nella formazione musicale, non solo per la didattica ma anche per concerti lezioni, per far capire quanto la musica dal vivo può cambiare la vita delle persone”.