Pubblicato il 04/02/2022
Parlare con Zoe Pia è come danzare sotto la pioggia e sentirne il profumo. La direttrice artistica del Pedras et Sonus Jazz Festival ha uno stile tutto suo di raccontare se stessa e la sua terra, quella Sardegna fatta di passioni e tanta, tanta musica. Essere un’artista che ama mettersi in gioco rende ancora più coinvolgente la sua creatività. Da pochi giorni è uscito “Nàrami”, il documentario dedicato all’edizione 2021 del festival itinerante che in provincia di Oristano fonde musica e artigianato, e che nasce dall’amore infinito di Zoe “per la mia isola e per il mio territorio”.
Abbiamo deciso di partire da qui per conoscere da vicino il mondo di Pedras et Sonus Jazz Festival e della sua direttrice artistica.
Zoe, il documentario “Nàrami” (“dimmi” in lingua sarda), pubblicato da pochi giorni, è un vero e proprio viaggio nell’edizione 2021 del festival: cosa ti hanno ‘raccontato’ le voci che hai raccolto?
Nàrami racchiude per la prima volta boghes (voci) degli spettatori. Ci tenevo particolarmente e il regista Alberto Gambato ha esaudito come sempre i miei desideri. Le suggestioni che si vivevano erano fortissime. Le persone si sono dimostrate davvero desiderose di bellezza e la gratitudine che arrivava in continuazione andava assolutamente documentata. Da un lato la nostra resilienza è stata vista come un qualcosa di miracoloso, dall’altra come guerrieri pronti a sacrificare qualsiasi cosa per la propria missione.
E’ stata un’impresa titanica, lo ammetto, per tanti motivi. La paura è stato il nostro nemico principale, paura di tutto e il lavoro più tosto è stato far vedere uno spiraglio di luce e trasmettere fiducia ad amministratori piuttosto che tecnici piuttosto che collaboratori. Ce l’abbiamo fatta e questa vittoria rimarrà nella storia del territorio, grazie a Nàrami.
Parli spesso del festival come di “un figlio”: cosa rappresenta la musica nella tua vita? Hai un ricordo legato alla tua scelta di diventare una musicista?
La musica è il motore della mia vita, è la mia linfa vitale e il festival è nato proprio mentre dentro il mio corpo si andava a creare mia figlia Naima. E in questi pochi anni ho imparato a rendermi conto che la similitudine è fortissima: come la bimba necessita di amore, attenzione e santa pazienza, così il Pedras et Sonus ha bisogno degli stessi principi di cura, in fondo è esattamente una mia creatura nata da un amore infinito per la mia isola e per il mio territorio.
Un ricordo legato alla scelta di diventare musicista?
Ho sempre sentito e vissuto la vita improntata sul suono e sulla componente costante della musica. Sono cresciuta in mezzo ai suoni, tra mio padre musicista nel profondo e la stanza degli strumenti musicali per me e mio fratello, i miei innumerevoli parenti appassionati con uno strumento in mano o pronti a cantare per ore ed ore in qualsiasi occasione, la banda musicale di Mogoro e la frequentazione di compaesani in cui è raro il caso di qualcuno che non ha uno strumento musicale in casa o non è stato per un periodo della sua vita immerso nel mondo della banda o ha fatto esperienze in band/complessini/gruppi anche molto sperimentali e originali.
Il Pedras et Sonus Jazz Festival fonde musica e artigianato, ogni evento diventa l’occasione per vivere “un’esperienza multisensoriale”: come si fa a tenere unite tante passioni?
Si cerca sempre più di creare uno scambio di energie tra le persone e la natura di una bellezza estrema, attraverso la musica e l’artigianato, mondi apparentemente distanti tra loro ma molto simili per tanti aspetti, primo fra tutti la passione nella creazione. D’altro canto l’opera lirica mi ha insegnato tantissimo e mi ha sempre affascinato molto l’idea dell’unione delle arti, così come la novità e la ricerca di nuovi linguaggi dati dall’avvicinamento di elementi talvolta contrastanti e inusuali.
Creare il festival è, in tal senso, come comporre musica, è ogni anno una nuova composizione. Non una compravendita di concerti ma una ricerca di tessitura con il territorio con particolare riguardo ai principi di universalità, i valori d’identità e della tolleranza e rispetto reciproco tra i popoli, come sancito dall’Unesco quando dichiara il motivo per cui il jazz è diventato Patrimonio dell’Umanità.
Il 2022 è appena iniziato: cosa dobbiamo aspettarci dalla Zoe musicista? E dalla Zoe direttrice artistica?
Il 2022 sta iniziando con una carica positiva pazzesca che ricercavo da tempo e che sembra essere il risultato di un processo quasi di iniziazione avvenuto con la Fire Orchestra e la residenza artistica alla quale sono stata invitata a novembre 2021 da Veniero Rizzardi del Centro D’Arte dell’Università di Padova, in collaborazione con Area Sismica.
Sto dando nuova linfa vitale alla mia produzione musicale, ho inaugurato per la prima volta assoluta l’esperienza di conduzione di un concerto “in solo” a Giulianova, in Abruzzo, per la rassegna GRIDO a cura di Giuseppe Berardino. Mi aspetta una prima assoluta in collaborazione nuovamente con il Centro d’Arte di Padova, un concerto del mio progetto Shardana a Venezia, una serie di concerti con la meravigliosa pianista e direttrice d’orchestra Cettina Donato, una collaborazione con i Tenores di Orosei e forse con una produttrice addirittura techno, una residenza in Polonia e tante collaborazioni di ampio raggio che stanno veramente dando sempre più benzina alla mia vena compositiva. E’ tutto meravigliosamente in evoluzione.
Dal lato direttrice artistica ugualmente le idee impazzano, alcune sono sogni delineati nella mia mente da anni e spero di poter realizzare, altre si stanno formando e dipenderà anche da quanto riuscirò a coinvolgere nella bellezza le amministrazioni comunali vecchie e nuove per creare una mappa sonora proiettata in avanti con uno sguardo sempre alla tradizione, all’insegna della speranza e della luce che irradia l’isola e in particolare la Marmilla.
A proposito di festival jazz, dopo un anno complicato come il 2021, cosa ti auguri per il mondo del jazz italiano?
Per il mondo del jazz italiano mi auguro sempre più unione e forza per andare avanti verso lo sviluppo e la crescita culturale del nostro Paese, verso un incremento dell’export e di connessioni sempre più dense tra gli stessi festival italiani e realtà estere. Il lavoro intrapreso negli ultimi tempi da parte di esponenti del settore, primo fra tutti Paolo Fresu, è di vitale importanza, sta illuminando e portando ad uno svecchiamento dei finanziamenti pubblici ministeriali che erano sino a pochi anni fa ancora ciechi.
Allo stesso modo mi auguro che finiscano le disuguaglianze dettate dalle misure sanitarie come il green pass che sta diventando un qualcosa che ricorda sempre più periodi bui della nostra storia moderna. Già nelle due edizioni passate 2020 e 2021 abbiamo sofferto per la situazione pandemica e il nostro motto è stato “resilienza, la cultura non si ferma”. Ora mi auguro per l’edizione 2022 di non dover cambiare slogan in “la cultura non discrimina”: onestamente si iniziano ad avvertire ondate di gelo in tal senso che portano a pensare che stia per arrivare il momento di alzare la testa e unirsi a gran voce per sottolineare il dissenso nei confronti di qualsiasi forma di discriminazione, compresa quella verde.
Dopo l’invito al racconto di “Nàrami”, quale messaggio vorresti lanciare al pubblico del tuo festival?
Un messaggio che vorrei lanciare al pubblico del Pedras et Sonus è quello di continuare a essere curiosi e fiduciosi nei confronti dell’arte in genere, diffondere e condividere le proprie emozioni con parenti, amici, figli, nipoti, rispetto alle esperienze che vivono insieme a noi, con empatia e spirito d’avventura, immaginazione e spiritualità.
La foto di Zoe è di Paolo Piga.
Link alla scheda socio I-Jazz Pedras et Sonus