Pubblicato il 10/12/2021
Questa volta il viaggio per conoscere da vicino i soci I-Jazz fa tappa nel cuore delle Alpi e si svolge in modalità “gender balance”, o meglio, come amano dire Norma Ghizzo e Giovanni Busetto, cuore e motore di AmbriaJazz, in perfetto stile “pari opportunità”.
Norma e Giovanni ci raccontate la storia di AmbriaJazz, quando e come nasce il vostro festival e come si è sviluppato negli anni?
La passione per gli eventi culturali anima da molti anni la vita di Giovanni Busetto che originariamente collaborò nell’organizzazione della stagione teatrale di Tirano al Teatro Mignon, il cui direttore artistico era PierGiorgio Evangelisti, maestro d’ascia, come suol dire Giovanni, e importante figura per la sua formazione di operatore culturale. E fu proprio a Giovanni che Evangelisti passò il testimone sul finire degli anni ’90. Da allora tante le proposte culturali promosse fino alla creazione di un festival musicale in cui il jazz è il filo conduttore. Era il 2009, il festival cominciò in punta di piedi con l’adesione di tre comuni: Piateda, capofila con Sondrio, e Montagna di Valtellina; per poi arrivare a collaborare con decine di comuni in tutta la provincia di Sondrio. Il nome AmbriaJazz è nato per caso al bar con un paio di amici, visionari e appassionati di jazz, “Che bello sarebbe fare anche noi un festival…” “Ma noi abbiamo Ambria!”.
Ambria è un piccolo e antico borgo a 1325 mt di altitudine sul versante Orobico del Comune di Piateda, fu fondato dai minatori che estraevano il ferro dalle rocce di quelle vallate. D’inverno è disabitato e si raggiunge solo a piedi per la neve, d’estate si popola di allegri abitanti, e non mancano pascoli e mucche, burro e formaggio. AmbriaJazz nasce nell’allegria e coltiva la sostanza, un festival che vuole diffondere la conoscenza della musica jazz e contemporanea di qualità in Valtellina e Valchiavenna, luoghi di interesse culturale e con scenografie di paesaggi mozzafiato. Un festival itinerante che si svolge a cavallo del mese di luglio, diventato uno strumento di valorizzazione del territorio e della cultura alpina.
Ci raccontate cosa significa lavorare in Valtellina e quali sono le attività che svolgete sul vostro territorio?
La possibilità di fare i volontari al festival Time in Jazz di Berchidda ci ha insegnato come rivivere i nostri luoghi e quanto sia importante coinvolgere le amministrazioni locali, soprattutto quelle sensibili ai temi culturali, dove sussistono beni storico artistici culturali, luoghi in cui proporre eventi. E’ questa modalità che ci consente di perseguire il nostro obiettivo: promuovere la musica jazz di qualità in luoghi inusuali. La scarsa densità di popolazione non ci consente di avere pubblici numerosi, ma vivere nel cuore delle Alpi tempra animi appassionati che seguono la manifestazione con attenzione e costanza. Non è raro ricevere spunti e osservazioni dal pubblico anche fuori dal festival.
Elemento fondamentale per il nostro festival sono i volontari, tant’è che recentemente siamo diventati una ODV. In tutto siamo 11 soci e 29 volontari, e ci aiutano anche i volontari delle altre associazioni locali, le cui collaborazioni diventano strategiche per realizzare le attività di contorno che amplificano l’offerta esperienziale e sono in grado di attrarre nuovo pubblico. Negli anni le progettualità si sono sviluppate in direzioni che vanno oltre i classici concerti nei luoghi deputati, e si fanno più frequenti eventi attenti alle necessità di promozione di piccoli borghi, aree periferiche, sentieri e percorsi dove proponiamo letture, performance teatrali e concerti in cammino. Esperienze di turismo di prossimità fondamentali per lo sviluppo dei territori.
Il festival estivo è l’attività principale di AmbriaJazz, ma negli ultimi anni abbiamo sviluppato una stagione invernale presso l’Auditorium Sant’Antonio a Morbegno che, dopo l’interruzione del 2020, riparte tra pochi giorni con una interessante programmazione. Ai concerti jazz si aggiungono le attività con i bambini.
Ci potete raccontare qualcosa di più sull’orientamento musicale della vostra associazione e sulle vostre scelte artistiche?
Ci lasciamo coinvolgere volentieri da idee condivise con gli artisti, la cosa importante è che ogni progetto che proponiamo sia in armonia con lo spazio contenitore e il pubblico a cui è rivolto. Noi attingiamo, a parte il free jazz, a tutte le forme espressive del jazz, ne cerchiamo le contaminazioni con i vari stili musicali, dalla classica al blues, al rock, alle musiche etniche, anche di diverse provenienze: mediterranee, nordeuropee oppure oltreoceano. Ma la costante che non perdiamo di vista è la qualità di ogni progetto musicale. Quando si parla di scelte musicali oggi si tiene conto anche di fattori come il “gender balance”, che noi preferiamo sostituire con “pari opportunità” perché davvero abbraccia tutte e tutti, giovani e meno giovani, italiani e stranieri; per noi l’inclusione è naturale da sempre. Importante è ascoltare, cogliere il messaggio veicolato dalla musica e se ci piace è fatta. Il campo è vasto, anzi vastissimo, noi abbiamo deciso di delimitarlo scegliendo ogni anno un tema che identifica il festival con la cultura locale. Abbiamo avuto come simboli il grano saraceno, il pezzotto, i pali delle vigne, lo scorso anno il tema era #camminante, quello del prossimo anno è già scelto, ma toccherà a voi scoprirlo a tempo debito.
In questi anni, anche in seguito alla pandemia, avete notato un cambiamento nel pubblico e come pensi che lavorerete per rispondere a questi fenomeni?
In 13 anni di vita del festival siamo riusciti a fidelizzare un pubblico sempre più motivato. Ovviamente, anche per noi, la pandemia ha ridotto il numero di spettatori, ma ci ha anche permesso di individuare quelli più attenti e appassionati. Se ogni male non viene solo per nuocere, questa è la conseguenza positiva: una frequentazione minore di persone, ma una grande attenzione e competenza nell’ascolto. Partiamo da qui, cercando di non deludere mai e di offrire sempre di più.
Avete o pensate di intraprendere progetti per bambini, le scuole o categorie protette?
In risposta alle necessità della popolazione, ma anche al desiderio di coinvolgere le giovani generazioni, abbiamo creato un progetto rivolto ai bambini: Germogli Sonori. Si tratta di laboratori musicali dove i bambini imparano a riconoscere e riprodurre i suoni della Natura, e poi ad ascoltare e ascoltarsi in armonia, lavorando sull’improvvisazione, primo fondamento della musica jazz. I laboratori sono proposti durante il festival estivo, e nel corso di tutto l’anno nei Comuni, nelle Biblioteche, e anche nelle scuole prima della pandemia, ora ci vorrà un po’ per tornare in aula. Con il Covid però abbiamo introdotto un importante cambiamento: a condurre i laboratori, insieme ai musicisti, ora ci sono anche dei musicoterapeuti, abbiamo infatti registrato la necessità di parlare ai bambini tenendo conto del disagio che hanno vissuto a causa dell’isolamento forzato.
Ci raccontate un concerto indimenticabile tra quelli che hai organizzato in questi anni?
Domanda difficile. Scegliere tra le proposte che generiamo ogni anno è un’impresa ardua, però la residenza artistica di Gavino Murgia chiamata N.O.T.E è stata emozionante per il lavoro realizzato su una ricerca attenta di spazi e suoni legati al lavoro, alla memoria, ai percorsi. Ne è uscita una colonna sonora incredibilmente potente, arricchita dai video creati in diretta da Giacomo Verde e con la partecipazione di Cristiano Calcagnile. Il concerto N.O.T.E. di Gavino Murgia e i suoi compagni di viaggio rimane impresso anche per il luogo in cui fu realizzato e per il potente temporale che vi si abbatté quella sera. Ma come dimenticare il concerto “Lingue di Fuoco” al Castel Grumello con Monica Demuru o “Intralci” con Gianluca Petrella e l’artista OPIEMME nel giardino di Palazzo Sala con il tramonto sulla valle a fare da scenografia? E ancora tutti i concerti in miniera… sì, abbiamo lavorato anche in miniera, incredibile, vero? Ma hai chiesto uno, ci fermiamo qui…
E un sogno nel cassetto per il futuro di AmbriaJazz?
Anche qui uno, quindi bisogna scegliere tra il progetto di un bravo artista o una bella residenza o la continuità dei progetti per bambini. In realtà il sogno più ambito è avere sempre la disponibilità economica che ci serve per continuare a lavorare e proporre concerti e progetti bellissimi.
Sapete indicarci un socio I-Jazz che vi piace per la sua programmazione?
Oltre al già citato Time in Jazz con cui collaboriamo da sempre, stiamo apprezzando il lavoro come direttore artistico di Luciano Linzi sia alla Casa del Jazz sia al festival milanese JazzMI, dove la grande varietà di proposte sempre legate a tematiche attuali e l’attenzione per le realtà più giovani ne costituiscono il grande valore.
Ci segnalate tre nomi interessanti nel panorama del giovane jazz italiano?
Altra domanda difficile, oggi le proposte di giovani musicisti italiani sono tantissime tali da pensare che il panorama artistico italiano sia tra i più ricchi in Europa. Pensando a progetti che abbiamo ospitato: Anais Drago come compositrice e musicista molto preparata e attenta, Francesca Remigi con i suoi Archipelagos per la ricerca a sonorità innovative e una grande tecnica da batterista, Jacopo Ferrazza per le sue molteplici attività non solo come contrabbassista, con lui e gli altri componenti del N.O.R.M.A. Ensemble abbiamo prodotto “Revelation”. Troviamo molti giovani preparati e competenti che meritano sicuramente di essere sulla scena, ma che faticano ingiustamente più di quanto abbiano fatto in passato i loro colleghi.
Una nuova idea progettuale su cui dovrebbe concentrarsi, a vostro avviso, I-Jazz?
I-Jazz è una grande famiglia che sta operando per il bene collettivo. Da soci esprimiamo soddisfazione per le recenti conquiste politiche a favore di tutto il jazz, per i progetti di rete condivisi, come Nuova Generazione Jazz, Jazz Takes The Green, per il Jazz per l’Aquila. Non abbandoneremmo nessuno di questi, al massimo potremmo accogliere suggerimenti per migliorarli. Ci piacerebbe ipotizzare un progetto futuro sul turismo musicale, crediamo che potrebbe interessare molti soci.
Per chiudere: come avete vissuto questi due anni di crisi sanitaria? Quali cambiamenti avete vissuto e avete apportato alla vostra programmazione?
Abbiamo vissuto il tempo sospeso con nuove idee e sempre più entusiasmo nel pensare a progetti innovativi. Appartenere a una associazione come I-Jazz ci ha aiutato a condividere le progettualità e ci ha reso meno isolati; la formazione attuata con il Lavoro della Musica ci ha sostenuto e motivato, ha aiutato tutti noi ad accrescere competenze ed esperienza. La nostra associazione ha potuto consolidare i rapporti fra soci e volontari; nel 2020 abbiamo visto la defezione di alcune amministrazioni, che però si sono ripresentate nel 2021. Gli aiuti ottenuti con i Bandi Covid ci hanno permesso di programmare e sostenere le nostre iniziative sia nel 2020, anche se in forma ridotta, sia nel 2021 con la programmazione completa. Ora preferiamo guardare oltre la pandemia, cerchiamo nuovi spunti e nuove idee in un mondo che è cambiato, proprio per questo il gioco si fa più interessante.