Pubblicato il 22/08/2022
Se c’è una parola chiave che tiene insieme le voci di questa intervista corale che ha per protagonista l’attuale direttivo di MIDJ – l’associazione Musicisti italiani di jazz nata nel 2014, grazie all’impegno e alla volontà di Ada Montellanico per costituire il punto di riferimento dei musicisti di jazz in Italia – è la parola attenzione. Una parola che racconta l’essenza di un modo di essere/esserci, che nella musica jazz ha molto a che fare con l’ascolto e il rispetto degli altri. Un rischio? Forse, per qualcuno. Di sicuro non per gli amici di MIDJ che ci hanno accompagnato in questo viaggio nel presente, e soprattutto nel futuro della loro associazione.
Iniziamo dalla frase che campeggia sull’homepage del sito di MIDJ: “Progettiamo insieme un nuovo presente e un nuovo futuro per il jazz italiano”, e partiamo dalla parola “insieme”. Che significato ha questa parola per Alessandro Fedrigo presidente MIDJ? E quale per Alessandro Fedrigo musicista?
Sono un musicista innanzitutto e non voglio dissociare questa pratica da quella di presidente, ho sempre pensato che MIDJ dovesse funzionare come un ensemble di musicisti improvvisatori, semplicemente non suoniamo ma ci ascoltiamo, progettiamo, agiamo. Quello che ho imparato dalla musica spero di riuscire a trasportarlo nella vita, nelle relazioni, nell’azione di MIDJ. Vorrei che questa associazione fosse come una band che trova un suo groove, dove tutti hanno la possibilità di esprimersi nel rispetto degli altri, dove ci si ascolti e si realizzi che la creatività personale è in funzione di quella degli altri, dove nessuno prevarichi e le nuove idee possano sempre esprimersi.
Il jazz in questo senso è una metafora bellissima di integrazione, creatività, rispetto e aderenza alla realtà. Sicuramente un’associazione deve occuparsi di temi molto concreti, ma vorrei che lo facesse con la modalità che abbiamo appreso dalla pratica musicale. Dunque dobbiamo partire dal presente e lasciarci ispirare per lanciarci verso il futuro con la consapevolezza che non possiamo essere certi che la prossima nota, la prossima azione, sia quella ‘giusta’, ma quella nota sarà parte di una costruzione collettiva in divenire.
A proposito di “nuovo presente”, una domanda per Simona Parrinello: ci racconti le ultime importanti novità che riguardano l’associazione, a partire da Jazz IT Abroad?
Jazz IT Abroad è una conquista per noi molto importante. Una grande opportunità per tutti i musicisti, che MIDJ ha fortemente voluto. Una battaglia iniziata otto anni fa e che finalmente porta l’Italia ad avere un Italian Music Export Office dedicato alla musica jazz, alla pari con molti paesi in Europa e nel mondo. E’ stato un lavoro di squadra che ha visto l’impegno della Federazione Il Jazz Italiano, di I-Jazz (nelle persone di Corrado Beldì ed Enrico Bettinello) e la collaborazione preziosa di Ada Montellanico, Simone Graziano, tutti i componenti dei direttivi di MIDJ che ci hanno preceduto; un grazie a Nur Al Habash, Chiara Gallerani e Matilde Cavalli di Italian Music Export, a cui ci affidiamo con fiducia perché Jazz IT Abroad possa crescere e perfezionarsi, consentendo a tutti i musicisti italiani di jazz di pianificare con maggiore anticipo le proprie attività all’estero ed essere supportati in questa fondamentale attività di esportazione della nostra musica. Un ringraziamento doveroso va anche al Ministero degli Affari esteri e della cooperazione internazionale (MAECI). Jazz IT Abroad sarà gestito da Italia Music Export.
Fra le attività a cui MIDJ si sta dedicando con grande attenzione in questa momento, c’è l’interlocuzione con il MIC in merito alla riforma dello spettacolo dal vivo. La pandemia ha evidenziato tutte le falle del sistema, ma ha anche creato un’importante opportunità di rete per la filiera dello spettacolo dal vivo. Come ha recentemente condiviso Claudio Angeleri – rappresentante di MIDJ all’interno del direttivo di CAM (Coordinamento delle Associazioni dei Musicisti) e nostro referente per questo ambito negli ultimi due anni (oggi affiancato anche da Diego Borotti, membro del nuovo direttivo) – c’è stato senz’altro un cambio di passo da quando si sono costituiti giuridicamente lo scorso ottobre il CAM e UNISCA, sintesi del settore della creatività, delle arti e dello spettacolo in rappresentanza di diverse migliaia di musicisti e di lavoratori dello spettacolo, sia di vari generi musicali, tra cui il jazz, sia di altre arti performative.
Le tematiche e le rivendicazioni sono comuni a tutti i lavoratori dello spettacolo ed è fondamentale affrontarle facendo sistema anche sulla base dei numeri, oltre che per la qualità delle proposte. MIDJ è nel consiglio direttivo CAM e lavora senza sosta all’interno di UNISCA per fare in modo che i decreti attuativi della legge delega n. 3625 per la riforma dello spettacolo dal vivo – approvata il 13 luglio a larghissima maggioranza anche alla Camera dei Deputati per iniziativa del ministro della Cultura Dario Franceschini e di quello del Lavoro e delle politiche sociali Andrea Orlando – possano rappresentare una svolta nella professione del musicista. Sono infatti importantissime le indicazioni della delega che riconoscono finalmente il carattere strutturalmente discontinuo di molte prestazioni professionali e la necessità di tutele lavorative anche in questo ambito.
Sappiamo che la strada è ancora lunga e in queste settimane la nostra attenzione è molto alta. Abbiamo individuato alcune criticità che richiederebbero delle modifiche o specifiche nella legge appena approvata a favore dei lavoratori autonomi; il momento è decisivo ed è necessario occuparsene con grande impegno e partecipazione. Essere presenti a questi tavoli è per noi priorità assoluta, come anche ampliare lo sguardo; in questo senso MIDJ opera attivamente da diversi mesi per ottenere il riconoscimento della professione dell’operatore jazz e delle musiche improvvisate attraverso la legge 4/2013 del Ministero dello Sviluppo economico.
In ultimo, fanno parte del presente di MIDJ: Air_residenze d’artista, in collaborazione con SIAE, che dopo lo stop pandemico è entrato nel vivo della fase residenziale dei venti musicisti vincitori del bando che proprio in queste settimane sono nelle venti città che li ospitano, in tutto il mondo. E poi c’è Il Jazz italiano per le Terre del Sisma, organizzato dalla Federazione nazionale “Il Jazz Italiano”, presieduta da Ada Montellanico, e dall’associazione “Jazz all’Aquila”, presieduta da Corrado Beldì, che quest’anno, nelle giornate del 3 e 4 settembre, vedrà all’Aquila la presenza di tutto il direttivo di MIDJ. Una presenza che nasce dalla volontà di essere presenti dove la musica vive e dove i musicisti possono finalmente riappropriarsi del proprio spazio espressivo, in un contesto di condivisione che noi sentiamo con particolare coinvolgimento. Anche quest’anno ci saranno otre 200 musicisti con concerti in 12 location nel centro storico della città. Vi aspettiamo!
Cosa ne pensa Michela Lombardi di traguardi così significativi? Credi sia cambiato qualcosa nella consapevolezza dei musicisti italiani di jazz negli ultimi anni?
Il confronto con i colleghi, facilitato dalla diffusione dei social, anche a livello internazionale, ha incentivato la volontà di lavorare verso obiettivi e conquiste che potessero rappresentare un livellamento verso l’alto delle condizioni lavorative e delle opportunità di crescita. Si è creata una rete virtuosa di relazioni anche a livello europeo quando, in seguito alla pandemia, Fleurine Verloop ha dato vita a Voice for Jazz Musicians in Europe (VJME), l’associazione delle singole associazioni europee di musicisti di jazz, a cui abbiamo aderito Anais Drago e io, e che si è arricchita anche dell’apporto di Francesca Remigi e Susanna Stivali (del nuovo direttivo). La maggiore consapevolezza di ciò che accade intorno a noi ha incoraggiato una sempre maggiore determinazione a lavorare insieme per creare condizioni lavorative migliori. E in tutto questo la dimensione associativa ha un ruolo fondamentale: forse è proprio quest’ultima la consapevolezza che dovrebbe radicarsi ancora più a fondo.
Quale è stato il percorso che ha portato a questi risultati secondo Giulio Scognamiglio?
Grazie a un cambiamento di stile di vita riguardante tanti aspetti del quotidiano, MIDJ ha compreso che sarebbero cambiati anche i modelli da seguire, e quindi i percorsi, e che sarebbe stato importante essere vicini alle mutate esigenze dei musicisti italiani di jazz. Consapevolezza e lettura quasi in chiave antropologica del divenire della nuova figura dell’artista, lasciando andare stilemi che non avevano più aderenza a un modo così trasformato, senza tuttavia dimenticarli. MIDJ ha voluto comprendere cosa stava avvenendo, astenendosi dal giudizio, e in un percorso condiviso si è messa in discussione, provando a leggere il dato di realtà, prima di indicare percorsi, che percorsi non sono più secondo le logiche tradizionali.
Quello che ha portato MIDJ a questi risultati è stata una struttura analitica e di pensiero, pronta a cambiare in uno scenario, quello del musicista di jazz, in continua evoluzione. Essere li dove si suona; intercettare possibilità da mettere in rete; studio dei complessi sistemi giuridici delineanti una nuova figura del musicista; valorizzazione delle competenze e condivisione delle opportunità autoescludendosi dagli eventuali benefici in entrata. Questo è stato ed è (e sarà) il percorso di MIDJ.
E a proposito di “nuovo futuro”, Susanna Stivali ci descrivi quali sono le priorità del nuovo direttivo dell’associazione? E perché è importante associarsi a MIDJ?
MIDJ è una ‘vera’ associazione, nel senso che rispecchia appieno il significato etimologico della parola associarsi, quello dell’andare verso l’alleato, il socio. Un’associazione fatta da musicisti per i musicisti, fatta di persone che lavorano sul sostegno e la crescita reciproca. Il nuovo direttivo MIDJ 2022 è formato da professionisti di diverse generazioni che hanno chiara questa importante premessa e che vengono da esperienze molto variegate, rispecchiando appieno le diverse esigenze del lavoro del musicista jazz oggi. Un lavoro che sta cambiando e si presenta sempre più sfaccettato per il tipo di attività legate alla musica dal vivo, alla produzione, alla didattica, alla promozione, alla consulenza, alla direzione artistica.
A questo proposito, il lavoro che stiamo facendo è quello di tenere aperti costantemente più tavoli su temi fondamentali e specializzarsi il più possibile su:
– promozione del jazz italiano e dei musicisti in Italia e all’estero;
– individuazione di esigenze e proposte verso organi preposti, di riassetto del settore previdenziale;
– creazione di percorsi didattici e pratiche creative legate al jazz nelle scuole di vario tipo;
– creazione di reti di collaborazioni con gli altri protagonisti del mondo del jazz italiano ed europeo (festival, club, promoter ecc…);
– partecipazione a bandi regionali e statali;
– attività di sostegno su temi di valore sociale e solidale;
– attività e iniziative legate al tema dell’equità di genere.
Alla domanda sul perché ci si dovrebbe iscrivere a MIDJ la risposta è già negli obiettivi raggiunti e quelli da raggiungere ed è nell’esigenza ormai imprescindibile che abbiamo tutti di fare rete per essere un interlocutore forte verso le istituzioni.
A proposito di giovani e talento: quale è l’esperienza di Francesca Remigi su Nuova Generazione Jazz?
Nuova Generazione Jazz è un progetto I-Jazz ideato da Enrico Bettinello, che ha l’obiettivo di comunicare, condividere e promuovere la nuova scena jazz italiana a livello nazionale e internazionale, di cui MIDJ è stato stretto collaboratore, soprattutto dalla seconda alla quarta edizione, attraverso delle call di partecipazione rivolte ai musicisti associati. Oggi il ruolo di MIDJ è quello di monitorare l’andamento delle attività NGJ, ponendosi come interlocutore e canale di ascolto per i musicisti coinvolti. Tramite il dialogo con I-Jazz, l’obiettivo è quello di apportare miglioramenti all’iniziativa sulla base delle esperienze riportate dai partecipanti di NGJ a MIDJ. L’associazione si fa garante dei diritti dei giovani jazzisti e collabora per istaurare un confronto produttivo tra le parti direttamente coinvolte.
Facendo un passo indietro, alla situazione difficile della pandemia e a tutte le sue gravi conseguenze per il comparto dello spettacolo dal vivo: da musicista quale è stata la maggiore preoccupazione per Giulio Visibelli? E cosa ti ha spinto a non ‘perdere di vista il futuro’?
La preoccupazione ha, inevitabilmente, coinvolto tutto il comparto dello spettacolo con particolare attenzione per chi aveva investito la totalità della propria attività nelle esibizioni dal vivo. L’assenza di introiti ha costretto molti a cambiare indirizzo lavorativo e i ristori hanno rappresentato un aiuto importante, ma spesso insufficiente.
La preoccupazione maggiore era rivolta a chi, privato di sicure entrate, ha dovuto affrontare il sostentamento di una famiglia e di tutti gli oneri connessi. La peculiarità del musicista di jazz e degli iscritti MIDJ è di sostentarsi con un’attività molteplice che necessità di continuo studio, composizione, arrangiamento, progettualità, insegnamento e quant’altro. Tutto ciò ci ha permesso di vedere con ottimismo il futuro perché il tempo trascorso nella pandemia è stato impiegato per farsi trovare pronti alla ripresa delle attività.
I tre temi chiavi su cui MIDJ deve puntare secondo Diego Borotti?
La pandemia ha messo sotto gli occhi delle istituzioni la sperequazione tra lavoratori outsider e insider: tutti gli outsider (leggi lavoratori autonomi) hanno faticato a essere catalogati e quindi sostenuti quando gli si è (comprensibilmente) impedito di esercitare le proprie professioni. Su quest’onda, che ha fatto emergere la problematicità dell’essere un freelance, si innesta il lavoro di MIDJ per il riconoscimento di queste figure che di fatto sostengono il welfare con il proprio gettito e dal quale sono parzialmente escluse. Occorre convincere le istituzioni ai più alti livelli che è necessario prima di tutto bonificare i paradossi della previdenza, che non considera la pluralità delle attività musicale di un singolo professionista (concertista, insegnante, consulente, direttore artistico etc…) tenendo separate INPS ed Ex-Enpals; semplificare la burocrazia (le esenzioni per la fatturazione elettronica decadono dal 2023 anche per i regimi agevolati); dare accesso ai benefici del welfare quali discontinuità, intermittenza, maternità (secondo regole realistiche, attuali e non legate a modalità di lavoro vecchie di 60 anni) etc… ; e solo dopo rivedere aliquote a copertura dei servizi erogati.
Prima si correggono le storpiature delle ‘infrastrutture’ fiscali e burocratiche, tanto più e tanto prima il flusso del gettito della categoria aumenterà; prima si costruisce una strada utile, sicura ed efficiente ,che poi verrà percorsa in gran numero dagli utenti. Personalmente mi rendo conto di quanto sia diventato strategico e indispensabile per ciascuno di noi rendersi capace di accedere a un bando o a un concorso, di procurarsi un’immagine mediatica significativa: tutte competenze extra musicali che non ‘fanno benissimo’ ai musicisti che hanno scelto questa professione non per ‘rifugio’, ma per profonda vocazione.
Per Leonardo De Lorenzo la musica jazz è soprattutto … ?
La musica jazz ha sempre rappresentato, nel mio immaginario sonoro, il mondo più nuovo, moderno, denso e ricco di possibilità, ma con una matrice sonora sempre ben definita. Infatti, nonostante la caratteristica principale di questa musica/stile di vita, risieda nella fusione di stili e confini sempre sfumati, la musica jazz ha un ‘colore’ sia ritmico che armonico sempre riconoscibile. E non parlo dello swing che per me, batterista, è solo uno dei tanti ritmi possibili, ma parlo di sonorità e codici che dall’inizio del secolo scorso a oggi, pur trasformandosi, hanno mantenuto un’identità e un sapore che rendono qualsiasi musica eseguita da un jazzista qualcosa di unico, inedito, e allo stesso tempo ‘familiare’. Questo perché, come in tutte le arti, il jazz si è sempre nutrito della contemporaneità storica, sociale, politica e artistica, prendendo a piene mani e ritrasformando materiali e idee, secondo quel ‘colore’ di cui parlavo poc’anzi, ma procedendo oltre, senza blindare o rendere autoreferenziali questo tipo di operazioni.
Il jazz, altamente inclusivo, potrebbe rappresentare la società perfetta. Se pensiamo, per esempio, a un quartetto che suona le composizioni di ognuno dei musicisti (situazione abbastanza comune) possiamo renderci conto di quanta democrazia ci sia in questa musica. Ognuno suona i temi scritti dagli altri, e quindi c’è una prima esecuzione di musica scritta, che può essere comunque interpretata, dopodiché si passa all’improvvisazione. L’improvvisazione, contrariamente a quanto credono i profani, richiede rigore, pratica costante e conoscenza dell’armonia, tecnica dello strumento. Tutto questo sapere, va poi rimodulato, nell’ambito di una composizione, cercando di suonare ‘bene’. Ma cosa vuol dire suonare bene nel jazz? Vuol dire tutto e niente. Vuol dire suonare con attenzione, ascoltando gli altri, ricordando che ogni nota ha un peso, e che questa nota va suonata con responsabilità, perché una volta emessa, non si torna più indietro.
Il jazz è rischio, responsabilità, attenzione, ascolto, inclusione, annientamento dell’ego a favore della musica. Immaginate un cittadino nella nostra società con questa formazione. Non sarebbe bello?