Pubblicato il 19/12/2018
Pianista, compositore, arrangiatore e direttore d’orchestra tra i più importanti nella storia del jazz europeo, ma anche organizzatore, ideatore di eventi, direttore di Musica Oggi (fondata con Franco Cerri e il giornalista Franco Fayenz, a cui si è aggiunto successivamente il musicologo Maurizio Franco), Enrico Intra ha attraversato da protagonista oltre mezzo secolo di vita musicale e culturale italiana. Affermatosi giovanissimo negli anni ’50 anche a livello internazionale, “ha sviluppato una poetica tesa all’incontro tra il linguaggio più squisitamente jazzistico e la musica europea contemporanea di matrice colta, e per questo è stato tra i primi musicisti italiani ad elaborare un concetto europeo di jazz”. Lo abbiamo raggiunto per parlare di storia, jazz italiano, didattica e del futuro che, secondo la sua visione, ci aspetta.
Associazione Musica Oggi gestisce e si occupa (Civica Scuola di Milano) di una delle maggiori realtà europee in ambito della didattica jazz: cosa sta cambiando in questo ambito secondo te?
I nostri corsi sono nati nel 1987 in una città, Milano, che per il jazz ha fatto molto ed è sempre stata in prima fila attirando musicisti di alto livello. Se dovessi elencare qualche nome avrei più problemi a ricordare chi non c’è stato alle iniziative che hanno dato linfa alla programmazione della musica jazz nel nostro paese.
Paradossalmente assente, invece, la didattica jazz. Si studiava il suono del jazz copiando i grandi Maestri su dischi – i cosiddetti padelloni – che arrivavano via crociera attraverso i musicisti impegnati a far musica sulle navi. Questo “vizietto” ha fatto danni alla nostra cultura musicale di stampo europeo, inabissando in un buco nero anche la didattica che orientava gli insegnanti nostrani a riferirsi a quella proveniente dall’America del Nord. Una didattica in cui si è sempre usato l’improvvisazione dei Maestri, non come esempio, ma come materiale d’uso nelle proprie performance. Purtroppo un “vizietto” trasmesso anche agli studenti… Ma arriviamo alla realtà attuale. La nostra scuola assieme a tante altre simili alla nostra, compresi i Conservatori, seguono una didattica più consapevole in cui la nostra cultura emerge e si aggiunge a quella che è considerata la didattica di base. Intendo quella che soffia dagli anni ’40, dopo la rivoluzione be bop, dal palazzo della famosa Berklee. I Civici Corsi di Jazz, parte integrante della Scuola Civica di Milano Claudio Abbado, dopo 33 anni di gestione associativa della non profit Musica Oggi, hanno ricevuto il riconoscimento da parte del Ministero competente: il nostro percorso formativo è stata pareggiato a quello istituzionale dei Conservatori. Imprevedibile e sorprendente decisione se pensiamo alla situazione di trent’anni fa, e a cui unirei il successo ottenuto da MIdJ e I-Jazz nell’essere riusciti a strappare alle Istituzioni e alla S.I.A.E il riconoscimento del nostro linguaggio jazz.
Perché il jazz è importante come linguaggio musicale da passare alle nuove generazioni?
Ad oggi, il linguaggio jazz è musica contemporanea nel senso vero di sostanza e soprattutto identificabile nella sua forma legata all’azione creativa contemporanea al suo tempo, da non confondere con quella dell’inizio del secolo scorso. E’ una musica onnivora che assimila tutto ciò che incontra nel suo percorso evolutivo e si trasforma procedendo, tendendo la mano alla medesima evoluzione della società del nostro tempo. Potrebbe essere una lingua musicale simile all’Esperanto, che accoglie in modo creativo altre esperienze per arricchire la propria lingua. Una lingua Democratica.
Jazz e infanzia, un dialogo possibile?
Con l’infanzia tutto è possibile perché è il viaggio iniziale della vita che ti porterà poi a essere una persona. Questo istante illuminante della nostra vita è da considerarsi una semina fatta al momento giusto, dal quale poi nascerà l’albero, il frutto della conoscenza e della cultura. Personalmente inizierei il “gioco” della musica nelle Scuole Materne con ascolti, proiezioni, giochi musicali, anche con la presenza dei genitori. E’ durante l’infanzia che si instaurano in modo permanente nel DNA amori, amicizie, bisogni culturali custoditi in cassetti di cui possediamo le chiavi e che si apriranno durante il percorso evolutivo di ognuno di noi. E’ durante l’infanzia che si costruisce la personalità della futura persona. Perché no, a suon di jazz… italiano ed europeo.
Quanto è importante, secondo te, il mondo delle associazioni nel jazz italiano?
Ho fatto il consuntivo del mio percorso dedicato alla Musica, anche se ho fatto poco. A proposito di associazionismo nel nostro paese… gli italiani hanno un nemico, l’Individualismo (comprensibile nei creativi), una “virtù” spesso paralizzante, che rende prigionieri di una forte impronta di Ego e impedisce di ascoltare gli altri. Stare insieme arricchisce, ci rende più produttivi. Fare insieme è un fare vincente! Forza!.
Il 2018 sta finendo: qual è il tuo bilancio sia come musicista che come Maestro per questo anno?
Tracciare un bilancio mi è difficile, sono ancora in corsa. Durante tutto il mio percorso ho messo dei punti nei momenti che mi sembravano conclusivi di un’esperienza musicale. Ho fatto e ripetuto molti punti a capo. Una cosa che mi ha consentito di fare i cosiddetti “bilancini” e ricominciare, isolando gli errori. Ma non voglio messere ipocrita, ho goduto anche di molti successi che mi hanno consentito di tagliare traguardi che mi sembravano impossibili. In questo momento – e siamo alla fine del 2018 – ho programmato “cose musicali e altro” sino al 2025, spinto dalla creatività dovuta all’incontrollabile demenza senile che mi autorizza ad agire rincorrendo i 107 anni di Gillo Dorfles, che mi avrebbe consigliato il silenzio. Virtù, il silenzio, che ti consente di ascoltare gli altri e altro. Anche in musica, il grande Dorfles definiva ciò che stiamo vivendo oggi: “il troppo pieno musicale”.