Pubblicato il 25/06/2019
Pozzuoli Jazz Festival, organizzato dall’A.P.S. Jazz and Conversation, compie dieci anni e torna anche quest’anno con un mese di concerti ed eventi che animeranno (dal 20 giugno al 27 luglio) l’intera area dei Campi Flegrei, unendo la musica, all’archeologia e alla cultura flegrea. Abbiamo incontrato Antimo Civero, direttore artistico vulcanico e sempre aperto al dialogo e allo sguardo altrui.
10 anni di Pozzuoli Jazz. 10 anni di un festival che ha portato il grande jazz italiano e internazionale in una delle zone più belle d’Italia: qual è il vostro bilancio arrivati a questo importante traguardo?
La prima volta che pensammo di trasformare le serate di musica che organizzavamo in un piccolo bar, disponibile oltre ogni aspettativa, in una manifestazione da ripetere ogni anno, una “specie di festival”, eravamo seduti attorno a un tavolo e non ci fu molto da parlare, bastò lo sguardo tra di noi. E fu subito festival, con l’attenzione ai giovani talenti, ai vecchi maestri del jazz e ai luoghi unici che ci circondavano e che sono diventati, con noi, gli scenari più belli che una manifestazione possa vantare. Accompagnati dal dettato costituzionale dell’art. 9 , nasceva un festival civico senza aiuti pubblici che, per tale motivo, dopo nove anni sarebbe risultato unico nello scenario italiano. Che bilancio può essere se non positivo? Un gruppo di amici appassionati di jazz, che da dieci anni rendono possibile tutto questo, come possono avere un bilancio “in perdita”? Le difficoltà sono tantissime, a volte sembrano insormontabili, ma siamo diventati bravi, davvero. Se qualcosa cambierà, in futuro, sarà esclusivamente un miglioramento, una crescita nell’autodifesa culturale.
Grandi nomi anche per il 2019 tra big – Pieranunzi e Munari tra tutti – e talenti ormai consolidati, come Guidi e Vignato: come lavorate per la costruzione del programma?
La musica e gli artisti che la producono e propongono è una realtà fondamentale nello scenario in cui ci muoviamo. Un panorama molto stimolante quello attuale, con molti giovani e grandi personalità consolidate, questo ci permette di ipotizzare calendari possibili, a volte anche lontani delle “tendenze”, focalizzando sempre un “incontro”, fin dalla prima edizione, tra l’esperienza e i nuovi talenti e/o nuovi stili, tra gli emergenti e quello che i grandi maestri sono capaci di mostrare loro, realizzando, sempre, connubi unici, irripetibili, sia per gli artisti che, soprattutto, per il competente pubblico che ci segue.
Molti musicisti ci riconoscono, ormai, questo ruolo e le proposte che ci giungono sono sempre più ricche, da una parte questo ci agevola nella scelta del programma da proporre, dall’altra a volte ci mette molto in difficoltà. Alla fine siamo sempre riusciti a trovare l’equilibrio giusto.
Non solo grande musica ma anche grandi location: quanto è importante per il successo del festival?
Credo che non ci sia un altro festival in Italia che nasce così marcatamente legato al territorio (e per il territorio ), alle sue caratteristiche naturali e storico-monumentali. I Campi Flegrei sono uno straordinario repertorio di queste peculiarità. Il nostro nasce come l’unico festival che si svolge dentro il cratere di un vulcano attivo – la Solfatara di Pozzuoli – e negli anni ha valorizzato sia siti e monumenti antichi che scenari naturali. Oggi questa scelta è diventata vincente e l’attenzione e il supporto che ci rivolge, negli ultimi due anni, il Parco Archeologico dei Campi Flegrei, premia le nostre scelte, indicandole come riferimento da seguire anche per altre manifestazioni e progetti. Ma, forse, le parole di Ada Montellanico, nostra ospite la scorsa edizione nelle Terme romane di Baia, quelle del famoso palazzo della Roma imperiale che ancora oggi mostra tutta la sua opulenza architettonica e evocativa:
“Sono davvero sconvolta dalla bellezza di questi luoghi ed è la cosa bella di questi festival, di festival come questi che si vede nascono dalla passione di persone che ci mettono l’anima. Il jazz è una musica che ha la capacità di dialogare con i luoghi. Attraverso questi festival si conoscono dei luoghi che normalmente non vengono pubblicizzati. La cosa bella è andare a fare concerti in posti così particolari. Io non ero mai venuta qui, come forse molte persone che verranno stasera, è bello questo mettere insieme musica e cultura, la cultura è tutto, musica, arte. Il jazz riesce a fare questo, in maniera molto particolare, perché sa parlare con il territorio in maniera assolutamente straordinaria, più di qualsiasi altra musica…”.