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Da Fara Music a Emme Record Label: intervista a Enrico Moccia

Pubblicato il 06/02/2018

Home Page › Notizie › Stay tuned › Da Fara Music a Emme Record Label: intervista a Enrico Moccia

Musicista, direttore artistico di Fara Music Festival, produttore, discografico: Enrico Moccia rappresenta la figura dell’artista a tutto tondo, imprenditore di se stesso e delle “sue creature”, dallo sguardo attento, recettivo, aperto e generoso. Iniziamo con lui una panoramica sulla discografia italiana di jazz, sulle etichette indipendenti, sulle scommesse che sono diventate strade ampie e percorribili.
Emme Record Label nasce nel 2010 ma ha alle spalle un’esperienza molto più ampia, fatta di incontri, di collaborazioni, su più fronti: puoi raccontarci la storia della tua etichetta?
“In quel periodo insieme a Francesco Lupi abbiamo deciso di realizzare uno dei nostri sogni, ovvero uno studio di registrazione inteso come struttura di produzione ideale per realizzare dei progetti jazz. Da anni però, soprattutto attraverso il Fara Music Festival, che dirigo dal 2007, molti musicisti mi proponevano di occuparmi del loro management.
Con l’avvio del Tube Recording Studio quindi, è stato naturale affiancare un’etichetta, in grado di realizzare un progetto discografico dalla fase artistica in studio a quella distributiva e manageriale. E’ ormai passato più di un un decennio, e devo dire che sono particolarmente onorato di aver avuto l’opportunità di collaborare con alcune delle più grandi figure del jazz nazionale e internazionale, nei vari Festival che ho diretto e in Studio di Registrazione nelle decine di album prodotti”.
Cosa significa dirigere e pensare un’etichetta discografica? Quali sono i passaggi, le azioni più importanti?
“Un’etichetta rappresenta per l’artista un punto di riferimento, per questo cerchiamo di stabilire un rapporto di comunicazione costante e continuativo. Insieme si decidono le forme di promozione dell’album, i concerti da fare, le modalità di comunicazione. Il nostro ufficio stampa interno svolge un grande lavoro di collante e noto con piacere che gli artisti apprezzano il modo di lavorare che proponiamo.
Per quanto riguarda il mio lavoro, parto sempre da una proposta artistica convincente e originale. Mi piace moltissimo lavorare con musicisti di così grande talento e sento una grande responsabilità vista la fiducia che ci concedono”. 
L’aggregazione come termine di riferimento, come radice: quanto conta “aggregarsi” anche a livello nazionale?
“E’ il termine che meglio sintetizza il nostro progetto. Aggregazione significa sia un’offerta in grado di unire i servizi produttivi, discografici e manageriali, necessari a diffondere nel miglior modo un progetto artistico, sia una propensione a unirsi in rete. Puntiamo molto sulle opportunità offerte dal network. Opportunità che si riflettono a favore dei progetti in catalogo. Negli anni abbiamo creato una cooperazione tra festival nazionali e internazionali, e questo lavoro si riflette positivamente anche per i progetti della Emme Record Label”. 
Qual è, secondo te, lo stato di salute delle etichette italiane di jazz?
“Siamo in poche, ma gestite da persone molto capaci e serie. Credo che gli intenti siano gli stessi, ovvero dare visibilità sul mercato nazionale e internazionale ai propri progetti in catalogo. La Emme Record Label è tra le presenti nel mercato forse una delle più giovani. Quello che da subito abbiamo cercato di non fare è di trasformarci in semplici aziende stampatrici. Il nostro obiettivo è far crescere gli artisti in catalogo, affiancando un ufficio stampa competente e un management in grado di proporre delle date. E’ nei live infatti che si vendono maggiormente i dischi”. 
È nata da poco la ADEIDJ, l’Associazione Delle Etichette Indipendenti Di Jazz (http://www.ijm.it): in un periodo di così grande individualismo, il jazz sta invertendo questa tendenza. Stare insieme si può? 
“Come ti accennavo prima, creando sinergie si può solo fare meglio. Da soli non si va da nessuna parte. Importanti risultati per il jazz italiano stanno arrivando negli ultimi anni, e tutto ciò avviene anche grazie alla crescita e al consolidamento di reti nazionali, come I-Jazz, l’Associazione dei festival jazz italiani o Midj, quella dei musicisti Jazz. Ben venga una nuova rete di etichette, così come quella dei Club. Non ha senso frammentarsi, anzi, dobbiamo prendere come esempio molte realtà europee che fanno del networking la loro caratteristica principale. D’altronde festival, musicisti, etichette, club, direttori artistici e stampa non rappresentano più facce della stessa medaglia?” 
 

Categoria: Stay tuned

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