Pubblicato il 30/11/2022
Sarà questione di altezza (per essere precisi 1 metro e 85 centimetri), ma dopo una chiacchierata con Saul Beretta non ti stupisci affatto di finire letteralmente nello spazio a bordo di un razzo con compagni di viaggio di un certo peso, con buona pace dell’assenza di gravità. Infatti, il direttore creativo di Musicamorfosi – realtà lombarda che dal 1988 si occupa di ideare, produrre e promuovere festival, spettacoli, seminari, eventi, happening e persino fiabe musicali – non è il tipo che indietreggia davanti alle sfide, persino le più complicate, come far dialogare musica e mondo della disabilità.
E da collaudato “agitatore di insolite iniziative musicali” riesce a mettere insieme visionarietà, cura delle relazioni, ascolto, coraggio e una certa dose di ottimismo. E pensare che tutto è nato dalla profonda ferita di un territorio ‘inondato’ da una sostanza chiamata diossina. O forse è proprio per questo che il lavoro di Musicamorfosi somiglia tanto a un mosaico che restituisce forme e vita attraverso la musica. Dopotutto “c’è un tempo per ogni cosa”, ci ricorda il suo direttore creativo, pronto a guidarci alla scoperta dei progetti in cantiere per il 2023.
Saul iniziamo da Musicamorfosi: le due parole chiave che racchiudono la sua storia e perché proprio quelle?
Sono tre e sono racchiuse nel nome Musica Amore e Morfosi, ovvero cambiamento o capacità di stare nel cambiamento. Diceva John Cage: cambieremo meravigliosamente se sapremo accettare le incertezze del cambiamento.
Ci lasciamo alle spalle anni non proprio semplici per il settore musica dal vivo: per Saul Beretta, direttore artistico, sono più le cicatrici o le finestre che si sono aperte?
Sono un inguaribile ottimista. Vedo sempre il bicchiere mezzo pieno. Il tempo fermo del Covid, specie i primi tre mesi, è stato un tempo eccezionale di riflessione, tempo per stare con i propri cari. Ma ora mi godo questa ripresa e tutte le cose che accadono. Si sono chiuse alcune porte e si sono aperti dei nuovi portoni. Sicuramente mi è mancato molto viaggiare, ascoltare musica e i concerti, oltre a quelli promossi da noi. Ma c’è un tempo per ogni cosa, come dice l’Ecclesiaste.
Il 2023 di Musicamorfosi sarà all’insegna di…? Quali progetti in cantiere? Anticipazioni sui festival e le rassegne in programma nel corso del prossimo anno?
L’anno partirà con un nuovo progetto alla Reggia di Monza una cosa speciale, ultra site specific, un format di musica danza e arti performative che abbiamo sperimentato con successo all’inizio di novembre, sfondando il tetto dei 13 mila spettatori in 4 giorni. Continuano poi gli appuntamenti con Il Rito del Jazz, progetto nato per un nuovo jazz club di Milano, quello di Cascina Cuccagna, dove nel 2023 troveranno spazio molti gruppi selezionati da Nuova Generazione Jazz.
Poi ci saranno Monza Visionaria che nel 2023 dovrebbe ospitare nuovamente i tanto attesi Notturni al Roseto; e ancora il grande carrozzone di Suoni Mobili tra giugno e agosto, con la sezione Spiritual Jazz, che per la prima volta ha ottenuto il riconoscimento del Ministero della cultura; Lac en plein air a Lugano; Tremezzina Music Festival su quel bellissimo ramo del lago di Como…
Siete attivi in Lombardia, Piemonte, nelle Marche: che valore ha il rapporto con il territorio (e la cura del territorio) nelle vostre produzioni?
Realizziamo produzioni site specific dal 2004, nasciamo da un’impresa sociale che decide di investire e a operare a Seveso nel post disastro diossina del 1976. La cura del territorio passa dalla cura delle relazioni. Il tessuto del territorio sono le relazioni che lo abitano. Non saremmo cosi radicati qui e non avremmo fatto base o radice in altri luoghi se non ci fosse un forte legame relazionale con i luoghi e i suoi abitanti. Dove non c’è o non ci fosse possiamo sempre proporre produzioni e concerti!
Tra gli obiettivi dell’associazione rientra la “formazione permanente del pubblico”: ci spieghi in cosa consiste il vostro lavoro in questo senso?
Musicamorfosi nasce con l’esigenza di attrarre pubblico. E per farlo puoi pensare al marketing culturale, cosa legittima e funzionale, oppure puntare a far crescere gusti, relazioni e desideri nella comunità che ti sta intorno. Noi abbiamo intrapreso tutte e due le strade. Una non ha disdegnato l’altra. Ma la formazione permanente passa proprio dalla semina continua, dallo storytelling di quello che fai, dal condividere delle emozioni attraverso concerti in luoghi simbolici del territorio. Solo così una comunità può crescere. Con percorsi articolati, ma sinceri e intelligenti, nei quali far camminare il pubblico, per poi cercare un sentiero non battuto.
Lo diceva sempre Cage: “Abbandona il sentiero battuto, vedrai cose mai viste prima”. Ecco per far crescere una comunità in un percorso di formazione permanente ci vuole fiducia nella comunità, coraggio e pensare che il percorso non è fatto solo per gli altri, ma anche per te. Io continuo a imparare tantissimo. La formazione permanente è la cosa più bella del mondo. Non si finisce mai di imparare e di ascoltare!
Si è appena conclusa a Parma l’assemblea annuale di I-Jazz, preceduta da un convegno dedicato al tema Jazz Territorio e Bellezza: quali le tue impressioni ‘a caldo’ sullo stato di salute del jazz italiano? Le sfide prioritarie da intraprendere nei prossimi anni?
Siamo su una bella strada. Coniugare territorio e bellezza, musica ed esperienze è la chiave per far crescere la comunità intorno ai luoghi che la comunità stessa percepisce come importanti e significativi . La gestione del patrimonio è una cura, un pezzo di vita e di storia che nel rinnovarsi si racconta e di definisce nel presente. Artisti e performer possono amplificare la ricchezza dei luoghi. Sarà una sfida win win per tutti.
Sul sito di Musicamorfosi sei definito “promotore e agitatore di insolite iniziative musicali”. Quella di cui sei più fiero? E la prima, la ricordi ancora?
Certo! Musicamorfosi nasce con La Colazione Concerto a Seveso nel piccolo villino La Petitosa, un centro anziani con un pianoforte incollato a una parete. Ho sempre pensato che quello fosse il centro del mondo, e lo era per me in quel momento. Lì ho imparato a programmare e raccontare la musica che amavo. E la cosa di cui sono più fiero è di averlo fatto nei percorsi di prevenzione del disagio giovanile o al CSE. Lavorare con le persone con disabilità è stata la cosa più difficile che io abbia mai fatto. Sono un produttore e un donatore di energia, ma loro mi risucchiavano. Finivo le mie sessioni musicali che non avevo la forza di alzarmi. Mia madre mi accoglieva e dormivo per due o tre ore ogni mercoledì, quando uscivo dal centro. Ecco non lo potrei più fare ma sono cosi felice di averlo fatto!
Un’ultima curiosità, sembra che il tuo sogno (nel cassetto) sia quello, un giorno, di poter giocare a scacchi con John Cage. Colonna sonora della sfida?
Mi auguro che sia la musica celeste del movimento astrale che potremo ascoltare semplicemente aprendo la finestra del nostro razzo spaziale!
Scheda socio I-Jazz Musicamorfosi