Pubblicato il 17/11/2023
Parlare di jazz con Matteo Gabutti, presidente dell’Associazione culturale 4’33” di Mantova e direttore artistico del festival You Must Believe in Spring, è fare un viaggio a 360° nella musica in ascolto di tutto ciò che la circonda, sempre sintonizzata sulle emozioni del pubblico e quelle degli artisti, di qualsiasi età. Un percorso che sceglie come parole chiave: scoperta e stupore, senza dimenticare il contributo fondamentale della libertà espressiva e compositiva al femminile e l’importanza di luoghi dove musicisti di tutti il mondo possano realizzare, insieme, i loro progetti. Ma partiamo dall’inizio.
Matteo quale è stata la scintilla che ha fatto nascere l’Associazione 4’33”? E quali erano gli obiettivi?
4’33” è un concetto, una predisposizione all’ascolto legati alla contemporaneità e al mondo sonoro che ci circonda. L’idea di esplorare la musica attraverso le molteplici anime e costellazioni che compongono il jazz ha animato il percorso che dal 2017 come un sentiero si è snodato, inerpicato, diramato a volte incrociando strade maestre altre perduto. L’obiettivo è sempre stato quello della scoperta, dello stupore davanti alla musica, alla vibrazione che produce nel pubblico.
Jazz, ma non solo. Ci guidi alla scoperta ‘dell’officina’ della tua direzione artistica?
Il jazz contemporaneo raccoglie molte influenze, l’evoluzione procede inevitabilmente attraverso la contaminazione, due a mio avviso sono i caratteri fondamentali del cambiamento in atto, il primo è il concetto di decolonizzazione inteso come ribaltamento della prospettiva dell’elaborazione musicale, non è più la cultura occidentale che assorbe ed elabora le diverse forme provenienti dal resto del mondo colonizzandole, ma le diverse culture si appropriano del linguaggio occidentale per esprimere la propria creatività contaminando la cultura occidentale in senso positivo. La linfa vitale di questo apporto culturale sta rivitalizzando la musica e l’arte in un Occidente ormai ammuffito.
Il secondo dato importante e innovativo è quello di l’affacciarsi sulla scena del jazz contemporaneo del mondo femminile, in un ambiente storicamente maschilista per diverse ragioni, la libertà espressiva e compositiva femminile alimenta un diverso modo di affrontare la musica e di apportare quel cambiamento e quello sviluppo necessario per il rinnovamento. Direi che queste sono le linee guida che animano e tengono il timone di 4’33” oltre all’ascolto costante.
Proprio in questi giorni sei impegnato nella rassegna “Oltre Confine”: che esperienza è stata? Se dovessi segnalarci una ‘conferma’ e una ‘sorpresa’ nel programma dei concerti?
La rassegna “Oltre Confine” è servita a ribadire i concetti precedenti stabilendo un confronto con le nuove generazioni di musicisti provenienti dal Liceo musicale Isabella D’Este di Mantova, gli studenti hanno dimostrato un’apertura e una curiosità straordinarie proprio nei confronti di musicisti che sono lontani dalla classica impostazione scolastica. La conferma deriva dal fatto che le nuove generazioni hanno una grande apertura verso il mondo del jazz e in particolare della musica improvvisata.
Il colloquio con la giovane sassofonista Zoh Amba, per esempio, è stato per loro illuminante, scoprire che nell’istituzione scolastica non sempre albergano la musica e la libertà espressiva, ma altri fattori come ad esempio il proprio vissuto personale, e che le sofferenze e le gioie determinano il carattere della musica e del musicista. Un’altra conferma che si tramuta in sorpresa se non in vero e proprio stupore ricco di emozioni è ascoltare, vedere e partecipare alla musica dal vivo, i soli o i duetti mettono a nudo tutte le caratteristiche dei musicisti ed è effettivamente il modo più pratico ed emozionante per scoprire il talento dell’artista.
Ci puoi anticipare qualcosa sul programma 2024 del festival “You Must Believe in Spring”?
Il prossimo “You Must Believe in Spring” proverà a interpretare questi cambiamenti, sarà sempre importante far partecipare gli studenti e mostrare loro mondi possibili, il programma è già in nella testa, ma è ancora presto per le anticipazioni.
L’associazione e la città di Mantova: che tipo di relazione avete costruito in questi anni con le istituzioni del territorio? Quali percorsi futuri?
I legami più importanti che si sono stretti in questi anni sono stati con la Fondazione Palazzo Te di Mantova e il Liceo musicale, il Comune ci ha supportato con la possibilità di utilizzare spazi a titolo gratuito, l’obiettivo è quello di continuare con queste collaborazioni auspicando l’apertura di nuovi spazi per la musica.
Quali sono per Matteo Gabutti le due sfide che il jazz italiano deve assolutamente vincere nei prossimi anni?
In realtà le sfide sono molte. Quello di cui necessita il jazz italiano sono innanzitutto l’organizzazione e la sburocratizzazione. Si avverte l’assoluta necessità di spazi, siano essi club o locali dove dare continuità ai progetti, e non parlo di jazz club soltanto, ma di luoghi dove ci siano diverse offerte culturali e musicali compreso il jazz. Per i costi e le problematiche post Covid, in molte città gestire un jazz club equivale a un suicidio.
Il jazz italiano rincorre quello che succede nel mondo, a volte arrivando in ritardo e a volte perdendosi proprio. Per appartenere a qualcosa che in generale non sia frutto di semplice apprendimento o imitazione occorre che i musicisti escano dall’Italia e si confrontino con le altre realtà in luoghi di fermento culturale. Si, occorre fare le valigie ed emigrare, i musicisti che lo hanno fatto e lo fanno tutt’ora hanno maggiori possibilità di essere al passo con i tempi ed elaborare un linguaggio personale.
Il sostegno alle nuove generazioni è importante ma ha creato una sorta di mercato distorto, più semplicemente, cosa faranno i musicisti una volta superata la fatidica soglia dei trentacinque anni? Se lo chiedono in molti. E le ragazze e i ragazzi che non riescono a rientrare nei bandi siamo sicuri che non siano dei talenti? Con l’offerta di opportunità attuali che prospettive ci sono per questo numero sempre crescente di giovani musicisti? Non avrebbe più senso creare bandi con progetti trasversali generando una vera selezione?
Se poi mi chiedi cosa penso dei Conservatori jazz ti rispondo che con queste prospettive si creeranno musicisti frustrati come già avviene per un buon numero di studenti di musica classica. Il Conservatorio crea aspettative che il mercato e il sistema non possono soddisfare. Quale mercato è in grado di assorbire un numero crescente di musicisti? Certo, posso apparire critico, ma sono domande che dobbiamo porci.
Il sogno (jazz) nel cassetto di Matteo Gabutti?
Il sogno nel cassetto? Beh, creare nel nostro paese luoghi nei quali i musicisti di tutto il mondo possano incontrarsi e realizzare i propri progetti.
Scheda socio I-Jazz Associazione culturale 4’33”