Pubblicato il 21/11/2017
I numeri finali della seconda edizione di JAZZMI sono senza dubbio positivi: 500 musicisti, 150 eventi e oltre 38 mila spettatori complessivi per i dieci giorni di musica. Un commento a caldo sull’andamento della rassegna? Elementi positivi e (se ce ne sono stati) negativi.
“Grande gioia. Un’importante conferma dopo il successo e la curiosità suscitati dalla prima edizione. JazzMi si è quest’anno ampliato e consolidato. L’entusiasmo di pubblico e media e la soddisfazione espressa da istituzioni e sponsor ci confortano nel proseguire questo progetto che è nato per mettere radici solide anno dopo anno, per rimanere e diventare un appuntamento irrinunciabile per la città di Milano e i suoi visitatori. Importanti sono stati i risultati conseguiti anche dai concerti di artisti meno noti, da tutte le sezioni collaterali, dalle mostre fotografiche, dalle attività divulgative.
Una voglia di partecipare a tratti, incontenibile! Soprattutto nei concerti gratuiti sparsi per la città. Inoltre, ci hanno molto inorgoglito i complimenti ricevuti da tutti gli operatori e media internazionali presenti quest’anno”.
Avete già propositi ed elementi per una terza edizione?
“A dire il vero stiamo lavorando a delle idee anche per la quarta edizione. Ci piacerebbe ampliare lo spazio per i musicisti europei, aumentare le produzioni originali, arricchire alcune sezioni esistenti, aprirne di nuove”.
Quest’anno avete dedicate spazio anche al mondo del jazz visto dalla parte degli addetti ai lavori: con JAZZDOIT c’è stata la volontà di aprire a un dialogo e alla riflessioni su alcune problematiche del settore. Incontri che non hanno registrato un ampio riscontro a livello di pubblico specifico, per quale motivo secondo te?
“Questo genere di attività necessita di tempo e continuità per affermarsi e crescere a livello di partecipazione. Riteniamo molto positivo il risultato conseguito. Un festival jazz contemporaneo deve offrire queste opportunità e JazzMi diventerà punto di riferimento anche per questi spazi di confronto e dialogo tra operatori, musicisti, istituzioni nazionali ed internazionali. Occorre sensibilizzare tutti sull’utilità di queste iniziative. Sono stati incontri ricchi di informazioni e stimoli per tutti”.
Il confronto con alcune importanti e ben strutturate realtà estere – come la Norvegia o la Danimarca – ci fanno riflettere sul senso del fare rete per raggiungere obiettivi mirati, anche in termini di finanziamenti: pensi che in Italia sia possibile mettere a sistema un organismo simile?
“Dobbiamo solo prendere esempio da realtà internazionali come quelle citate. Unire le forze, mettere da parte individualismi e localismi per ottenere un risultato comune. E sapere che ci vuole tempo ma non bisogna perderne. Il lavoro fatto dal nostro settore in questi ultimi cinque anni è stato davvero importante e i risultati conseguiti sono storici. Bisogna continuare su questa strada”.
Dove sta andando il jazz in Italia?
“Sono tempi difficili, duri, ma la salute della nostra scena jazzistica mi sembra ottima in termini di ricchezza di talenti, creatività, varietà di progetti e proposte. Occorre aiutare i tantissimi giovani di maggiore talento che stanno emergendo e far conoscere più ampiamente, a livello nazionale e internazionale, alcuni nostri artisti che lo meritano. Resto convinto che la scena jazz italiana sia sempre una delle più interessanti a livello internazionale”.