Pubblicato il 09/09/2019
MutaMenti è un festival che “non ama parlare ad alta voce” ma attraverso i dettagli, e lo fa grazie al lavoro e alla forza di tutti coloro che lo compongono, primo tra tutti il suo direttore artistico Max De Aloe, armonicista e compositore. MutaMenti (la terza edizione in programma dal 18 al 29 settembre) è un festival profondamente connaturato alla provincia di appartenenza, Massa-Carrara; partendo dalla bellezza dei luoghi d’arte e cultura disseminati in queste zone e valorizzando l’aspetto del jazz, quale musica delle contaminazioni, il festival offre al suo pubblico qualcosa di unico.
Abbiamo raggiunto Max per parlare con lui di MutaMenti 2019:
Tre edizioni di un festival a grande impatto culturale: puoi farci un bilancio di questi anni?
“Il bilancio è senz’altro positivo. Sia per l’affluenza di pubblico, sia per come si sono trovati gli stessi artisti. L’obiettivo del festival, fin dall’inizio, è stato quello di portare la musica nei luoghi d’arte e cultura della provincia di Massa-Carrara. Un territorio noto soprattutto per il mare e che, invece, nasconde il fatto di essere tra le prime province in Italia per la presenza di castelli visitabili. Castelli che sono diventati lo scenario dei nostri principali concerti”.
“Senza frontiere”, il tema che quest’anno, ci sembra calzante più che mai: quali sono, secondo te, le frontiere più pericolose che stiamo sottovalutando?
“Senza frontiere è il sottotitolo che caratterizza MutaMenti dalla prima edizione. La musica non può e non deve avere frontiere. Credo da sempre nell’importanza del meticciamento nelle forme d’arte, e non solo nell’arte. Il jazz ebbe le sue origini proprio dall’incontro di culture diverse, in un luogo geografico di profonda immigrazione e confronto. MutaMenti sta proprio a significare il senso di una musica capace di mutare grazie all’incontro di culture e popoli diversi.
Il jazz è sempre di più un pass-partout di unione e contaminazione. Per questo motivo la programmazione del festival ha spaziato, e continuerà a farlo, moltissimo. Contaminazione con la musica brasiliana, quella classica, quella del Medio Oriente, del nord Europa, dei paesi balcanici ecc… Ma anche con forme più classiche di jazz”.
Perché la suddivisione in due periodi dell’anno, la prima a settembre e poi a dicembre?
“La verità è che è sempre più complesso recepire fondi da bandi e finanziamenti. Alcuni bandi sono slittati a ottobre e questo ci ha fatto ritardare la programmazione, ma non volevamo perdere una parte di spazi, soprattutto nei luoghi all’aperto dei castelli, fruibili solo nel periodo estivo. Alla fine, però, avere due momenti distinti non é così negativo, anche perché i concerti sono molti. La scorsa edizione complessivamente sono stati 17. Questo ci permette di far tornare il pubblico tre mesi dopo per un’altra tornata di eventi”.
Grandi nomi della scena nazionale, ma non solo, saranno i protagonisti delle giornate dal 18 al 29 settembre; cosa dovremo aspettarci invece per dicembre?
“La logica programmatica sarà la stessa. Contaminazione e spazio a musicisti diversi”.
Quali sono i valori aggiunti e le difficoltà di essere musicista e contemporaneamente direttore artistico di un festival?
“Io non penso che possa esserci un valore aggiunto. Esistono direttori artistici bravi e non bravi. E non è detto che i migliori siano musicisti. Credo solo che il direttore artistico, nella mia visione, non debba farsi troppo influenzare da quello che è di moda. Da una certa spettacolarizzazione che il mondo del jazz sta subendo. Evitare le solite cose che fanno tutti, i soliti nomi, i soliti progetti che ormai imperversano nelle programmazioni. Avere curiosità. Pensare che si stia scegliendo qualcosa per conto del pubblico e che bisogna aiutare il pubblico a scoprire qualcosa di nuovo e non a rassicurarlo con quello che già conosce”.
Info e programma: https://www.istitutovalorizzazionecastelli.it/mutamenti/