Pubblicato il 16/01/2018
Dave Douglas non è soltanto uno dei jazzisti più creativi e famosi al mondo, ma è anche una personalità di spicco, di grande sensibilità e dallo sguardo attento e profondo. In attesa di festeggiare i 40 anni di Bergamo Jazz (in programma dal 18 al 25 marzo), di cui è direttore artistico da tre edizioni, lo abbiamo raggiunto per parlare con lui del suo ruolo, del festival e di molto altro.
Nel 2018 Bergamo Jazz taglia il traguardo delle 40 edizioni, 40 edizioni di un festival che, come hai detto tu stesso, “Si sta muovendo verso nuove e inaspettate direzioni”. Cosa è cambiato in questi tre anni della tua direzione artistica e quali direzioni hai preso?
“Il più grande cambiamento a Bergamo è stato determinato dall’aver esteso e fatto crescere il festival in tutta la città. Adeguandoci e facendo leva sulla storia e sull’architettura uniche di Bergamo, abbiamo ospitato talenti regionali emergenti e artisti internazionali in tanti spazi cittadini. Questo è stato un grande onore per il nostro festival. Vorrei aggiungere anche che abbiamo fatto uno sforzo per presentare più gruppi guidati da donne. Credo sia uno dei più importanti impegni per la crescita e la diversità nella musica. Un processo in ritardo da tempo.
Un altro obiettivo della mia direzione artistica è stato quello di espandere l’idea stessa di festival jazz, prima di tutto in me stesso per prendere atto dei molti progressi compiuti nelle diverse aree di questo stile musicale. Il jazz copre ora una così vasta gamma di suoni, che è fondamentale guardare costantemente ai nuovi movimenti e alle nuove idee. Questo è sempre stato il modo in cui la musica si è sviluppata: dalle idee dei musicisti stessi”.
Cosa significa per te Bergamo Jazz? Quali strumenti espressivi sono importanti per ricoprire il ruolo di direttore artistico secondo te?
“Il fatto che Bergamo mi dia l’onore di guidare questo festival ha un grande significato. Non solo per me. Sono pochissimi i festival che affidano agli artisti il ruolo di direttore e lo considero una grande opportunità e responsabilità. Io sono orgoglioso di servire questa realtà e il mio obiettivo è quello di farlo nel modo in cui porto avanti il mio lavoro di musicista: attraverso una ricerca costante e un’attenzione ai dettagli; attraverso l’amore e il calore per la città, la gente e la musica”.
La “diversità nella creatività” è il tuo motto nel festival ma credo sia anche una delle condizioni fondamentali per la nostra sopravvivenza: pensi che l’Italia sia un paese capace di diversificare le proprie creatività? E non parlo soltanto di musica.
“Questa è davvero una buona domanda! Ed è una domanda alla quale, molto probabilmente, non sono in grado di rispondere. Credo che ogni paese debba arricchirsi attraverso la diversità, non abbiamo scelta. Nel mio paese, in questo momento, sembra si sia riaperta la discussione sulla diversità, e nel modo più oscuro possibile. Nondimeno, sono fiducioso che a lungo termine andremo avanti nel celebrare tutti i nostri fratelli e sorelle. La nostra sopravvivenza, culturale e fisica, dipende da questo”.
Il concerto finale del festival vedrà gli ultimi direttori artistici insieme sul palco: insieme a te, ci saranno Enrico Rava, Paolo Fresu e Uri Caine. Non vogliamo sapere quale sarà il programma della serata, ma come descriveresti i tuoi colleghi con poche parole.
“Tutti e tre – e spero anche io – rappresentano l’apertura e il calore nella musica. È una delle qualità che ha reso Bergamo così speciale nel corso degli anni. Avendo già suonato con Enrico, Paolo e Uri so che sarà una serata all’insegna della curiosità e della volontà di esplorare cose nuove, ma allo stesso tempo l’occasione per riflettere sulla bellezza e la maestria classica”.
Quale direzione sta prendendo il jazz a livello globale?
“Il futuro del jazz è nelle mani dei musicisti. I musicisti hanno sempre più l’opportunità di emergere e di intraprendere parcorsi formativi in grado di renderli protagonisti di un vero e proprio arricchimento di questa forma d’arte. Sono molto fiducioso nel jazz e nel suo percorso”.
Giovani musicisti e politiche a favore della loro crescita: potresti raccontarci la situazione a riguardo negli Stati Uniti?
“Prima di rispondere, vorrei però dire quanto sia straordinaria la situazione in Italia. C’è sicuramente molto su cui lavorare, ma i programmi jazz nei Conservatori di tutto il paese stanno aiutando ad affermarsi musicisti raffinati, sensibili e molto preparati. Anche negli Stati Uniti abbiamo programmi eccellenti e musicisti giovani più dotati che mai, ma la situazione per gli artisti statunitensi è sempre stata più “fai-da-te”, nel senso che c’è meno sostegno da parte delle istituzioni governative. Questo è ovviamente un paradosso perché il jazz è una musica nata negli Stati Uniti e continua a prosperare lì. Tuttavia, ci sono più club, più festival, più workshop e opportunità in espansione per giovani musicisti in tutte le aree del settore.
La musica è sempre una ricerca che richiede impegno e persistenza. Vedo la prossima generazione molto consapevole di ciò, e pronta prendere le redini!”.
Grazie Dave! A questo punto non ci resta che dare appuntamento a tutti, dal 18 al 25 marzo, a Bergamo per la quarantesima edizione di Bergamo Jazz.
Il programma del festival al link http://www.italiajazz.it/attivita/festivals-e-rassegne/bergamo-jazz